Al centro del romanzo di Artem Mozgovoy, Primavera in Siberia (tradotto da Simona Garavelli per Astoria) c’è Alexej, che in prima persona, racconta la sua storia. Nato in un villaggio nel bel mezzo della sterminata Siberia, si trova a vivere in un momento critico per la Russia: l’aprirsi dell’URRS al mondo occidentale e il crollo del sistema socialista, in cui tutti avevano un posto sicuro in cui vivere e un ruolo.
Il ragazzo, infatti, è nato nel 1985 quando Gorbaciov pronuncia il discorso che cambierà per sempre la storia dell’allora URSS. E assiste al passaggio da un’economia di stato a un’oligarchia capitalista in cui acquista sempre più potere non solo un gruppo ristretto di persone ma anche la mafia russa.
Crescendo, il ragazzino conosce il rimpianto di un mondo sicuro ed economicamente forte, fatto da una tradizione storica e culturale che non aveva nulla da invidiare ai paesi occidentali. E il continuo sentirsi sconfitti perché i valori che fino allora erano vincenti sembrano inutili e superati.

Alexej e i suoi coetanei si trovano a vivere in un mondo che ha al suo interno nuovi e vecchi valori. Nuove speranze e vecchi modi di pensare. La maggior parte della gente si attacca alle proprie radici e guarda con scetticismo i nuovi ricchi prendere il potere. «Dov’erano tutte le anime che avevano popolato la Russia pre-rivoluzione? Erano russi proprio come noi? O le loro tradizioni, la cultura, erano completamente distrutte dal tempo, dal popolo, dal Paese stesso?», si legge a un certo punto.
Primavera in Siberia è il racconto di un’epoca di passaggio, ma anche una storia familiare. Al centro della vita di Alexej c’è la sua famiglia, composta da un padre e da una madre, ma anche da una favolosa nonna che veglia su tutti e tutto. E che con diffidenza guarda al futuro. L’unica capace di sopravvivere in un modo che si impoverisce per la svalutazione del rublo, perché abituata a contare su poco.
Oltre c’è il ricordo della Storia russa. La Siberia è stata a lungo sinonimo di esilio e incarcerazione, sopraffazione da parte del potere. Spesso gli insediamenti sono nati come campi di concentramento o luoghi per lo sfruttamento industriale e l’estrazione mineraria. Il più delle volte vi lavoravano persone mandate ai lavori forzati o tedeschi prigionieri subito dopo la Seconda guerra mondiale, cosa questa che Alexej scopre grazie a un suo compagno di scuola, nato e cresciuto in una famiglia di funzionari del KGB.
Lenin, Stalin, Krusciov sono sempre lì anche se presto iniziano a convivere con i McDonald’s (il primo fu costruito nel 1990) e le voci spezzate delle t.A.T.u.
Il romanzo racconta anche un’altra storia. Una storia più intima che ha a che fare con la scoperta di sé e della propria identità sessuale. Alexej si è sempre sentito un «alienato», uno «smarrito» e «spaventato». Gradualmente e, grazie a un compagno di classe, Anton, scopre di essere gay, in un Paese, che nel 2011 perseguita gli omosessuali.
Non sarà Anton a far scoprire cosa significhi la parola “amore” ad Alexej, perché Anton, nato in una famiglia omofoba, non ha voglia di vivere nell’ombra, ma vuole vivere la sua vita alla luce del giorno, per questo non può far altro che andare via. Mentre Alexej rimane.
Studia all’università e scopre che ci sono molti altri come lui che vivono una doppia vita, come il suo tutor, che è sposato e ha un figlio, ma in realtà è alla ricerca di un uomo con cui condividere la propria vita. «Un uomo nella nostra posizione deve fare scelte intelligenti, per stare al sicuro, per avere successo, per realizzare qualcosa», dice al protagonista a un certo punto.
Ma Alexej non è destinato a vivere nell’ombra. E un giorno dopo la laurea in giornalismo decide di partire. E diventare l’uomo che vuole essere.
Claudio Cherin
Artem Mozgovoy
Primavera in Siberia
Astoria
Traduzione di Simona Garavelli
2025, 336 pagine
19 €