Ultime settimane per visitare al Museo Rietberg di Zurigo la mostra Hallyu! L’onda coreana: rimarrà aperta fino al 17 agosto. Si tratta dell’unica tappa europea (dopo l’esordio al Victoria and Albert Museum di Londra: la curatela è firmata da Rosalie Kim, responsabile dell’arte coreana di quella prestigiosa istituzione) di un’esposizione che sta girando il mondo, passando dal Museum of Fine Arts di Boston all’Asian Art Museum di San Francisco. Del resto globale è il fenomeno di cui racconta genesi, diffusione e declinazioni, ovvero quello della cultura popolare della Corea del Sud.
Il museo svizzero propone un percorso espositivo che presenta al pubblico circa 200 oggetti tra costumi, fotografie e video, opere contemporanee e storiche, alcune delle quali in esclusiva (ovvero presenti solo qui), come il paravento decorato con libri e oggetti in uno studio realizzato da un artista sconosciuto del XIX secolo, prestato da un collezionista privato.

Quattro sono i capitoli in cui questo cospicuo materiale – assai eterogeneo – viene organizzato: la storia recente; K-Drama e K-Cinema; il K-Pop e i suoi fan; K-Beauty e K-Fashion.
Per chi scrive queste righe è stata un’immersione in un mondo fluttuante (scoperta allusione alla terminologia che definisce il genere delle stampe artistiche giapponesi, quello di Hokusai, per intenderci) per la quale esperienza sono pressoché privo di appigli culturali. Più o meno quello che mi capita quando giro per le sale della collezione permanente del Museo Rietberg che – è bene ricordarlo – conserva opere d’arte di Paesi extraeuropei: dall’Africa all’Oceania, dall’Asia alle Americhe (su ALIBI trovate le recensioni di diverse mostre allestite al Rietberg).
È inevitabile, almeno per me, il continuo confronto tra quanto vedo e quanto conosco per esperienza diretta o mediata dalla cultura (ma anche in questo caso il termine sarebbe da declinare al plurale). Vale per le vetrine con statuine di animali come il cervo realizzato nel I sec. a.C. in Cina sotto la dinastia degli Han Occidentali, nella collezione permanente, e altrettanto per quelle in mostra in cui sono collocati oggetti a prima vista difficili – se non impossibili – da decodificare, come la maschera LED prodotta da LG e lanciata sul mercato nel 2019 per i trattamenti estetici della pelle.

Durante la visita mi sono dunque lasciato guidare dalla curiosità, essendo privo dei filtri che decenni di esperienza nei musei europei hanno inevitabilmente sovrapposto al mio sguardo. Naturalmente queste impressioni di straniamento non valgono – o sono molto stemperate – per coloro che già conoscono in profondità la cultura popolare sudcoreana. In quel caso, si attiverà il meccanismo del riconoscimento e l’attenzione del visitatore sarà attirata da questa o da quella vetrina in base ai personali gusti.
Per quanto mi è stato possibile, ho provato ad approcciarmi a una cultura così distante cercando i punti di contatto e lasciandomi sorprendere da quelli di maggior distanza. Per esempio mi sono soffermato davanti ai costumi utilizzati poco più di dieci anni fa (era il 2014: quasi un secolo in questo settore!) nel videoclip musicale per la canzone Good Boy del duo GD X Taeyang, osservando ogni singola patch (i boomer come me le chiamano toppe).
Ho riconosciuto la linguaccia dei Rolling Stones, croci di vario tipo, teschi (di cui uno con le orecchie da coniglietta di Playboy) e disegni che strizzavano l’occhio o erano aperte citazioni culturali occidentali. E mi sono chiesto: erano per il pubblico sudcoreano o per quello occidentale? O forse, più probabilmente, per entrambi?
Il linguaggio dei video musicali è volutamente universale, oltre che studiato nei minimi dettagli per incontrare i gusti di un pubblico più vasto possibile (niente di nuovo sotto il sole, nemmeno d’Oriente). Un ruolo tutt’altro che secondario – è spiegato in mostra – lo giocano i fan che traducono i testi delle canzoni dei loro beniamini per renderli comprensibili e dunque disponibili agli ascoltatori di altre parti del mondo.
Come effetto collaterale è stato registrato un aumento di studenti che seguono corsi di lingua coreana nelle università europee, Svizzera compresa. E l’Oxford English Dictionary nel 2021 ha accolto ben ventisei termini coreani, mentre il dizionario tedesco Duden nel 2024 ne ospitava soltanto tre.

Insieme alla musica, anche la moda fa da traino alla diffusione della cultura popolare sudcoreana. Ma sono sicuramente il cinema e le serie TV (su tutte Squid Game) a giocare – e ad aver giocato – un ruolo fondamentale nel successo mondiale dell’onda.
L’aspetto più sorprendente – almeno per me – non è l’ampiezza della copertura del fenomeno (pari all’intero Globo, praticamente), ma la velocità con cui si è dispiegato. Le fotografie che mostrano la Corea del Sud com’era prima che si scatenasse questo straordinario movimento culturale sembrano reperti archeologici, al pari di quelli esposti nelle teche della collezione permanente.
Saul Stucchi
Didascalie:
- Un’immagine dell’allestimento
Foto di Patrik Fuchs © Museum Rietberg - Aespa “Next Level” MV
2021 © SM Entertainment - Squid Game
Una serie originale Netflix
© 2021 Netflix
Tutti i diritti riservati
Hallyu! L’onda coreana
Informazioni sulla mostraDove
Museo RietbergGalblerstrasse 15, Zurigo (Svizzera)
Quando
Dal 4 aprile al 17 agosto 2025Orari e prezzi
Orari: da martedì a domenica 10.00 – 17.00Mercoledì 10.00 – 20.00
Biglietti: intero 25 CHF; ridotto 20 CHF