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Voi siete qui: Biblioteca » “La letteratura come una delle arti equestri” di Hans Tuzzi

26 Giugno 2025

“La letteratura come una delle arti equestri” di Hans Tuzzi

La collana Biblioteca di Letteratura Inutile – il cui nome è un chiaro esempio di autoironico understatement – dell’editore Italo Svevo si è arricchita recentemente del volumetto La letteratura come una delle arti equestri di Hans Tuzzi. Si tratta di una raccolta di elzeviri già apparsi nell’inserto culturale Agorà del quotidiano Avvenire.

L’avvertenza riportata nel colophon è un aperto omaggio all’incipit di Anna Karenina di Tolstoj e rivela l’intento della selezione, ovvero “ribadire che le storie scritte male si assomigliano tutte, e quelle scritte bene lo sono ognuna a modo suo”.

È bene dunque tornare senza posa ai classici per quell’atto di salutare ginnastica intellettuale che è la rilettura. “Miglior lettore è colui che rilegge perché le grandi opere si offrono a molteplici punti di vista, si prestano a sempre nuove scoperte, suggeriscono inedite interpretazioni”, dice l’autore.

Ogni opera viva, secondo Tuzzi, è segnata da ambiguità e questo termine è il filo rosso che corre lungo tutti i testi. Ritroviamo le sue corde nell’Isola del tesoro di Stevenson. Caratterizza “ogni manufatto d’arte” e come tale “richiede il più grande dei sacrifici al suo artefice”, scrive nell’elzeviro Autore e lettore: due affollate solitudini in dialogo.

Altrove invece si concentra sui personaggi della Recherche per concludere che il compito della grande arte è rendere l’ambiguità della vita. E come ci riesce? Usando una lingua che è essa stessa ambigua, in una disciplina, la scrittura, che è un’arte del levare, come la scultura. Peraltro, con buona pace dei venditori di corsi di scrittura creativa (già l’accostamento mette i brividi, ma anche il mercato editoriale non è messo benissimo, per ricorrere a un eufemismo, soprattutto quello italiano dove impera “l’ombelichismo” degli autori), non esistono regole in letteratura. O meglio, ce ne sono tre per scrivere un romanzo, secondo Somerset Maugham, ma “purtroppo nessuno sa quali sono”.

Troverete diverse citazioni di autori ma presto vi accorgerete che presenza assidua è quella di Franz Kafka che compare già a pagina 13 con l’abbrivo de Il processo. Nel testo Chi bene inizia prende all’amo il lettore Tuzzi è lapidario nel definire lo scrittore praghese “il miglior incipitista del Novecento”.

Potrei anche essere d’accordo, ma il battito del mio cuore ha subito un’accelerazione quando gli occhi sulla pagina hanno letto “Profondo è il pozzo del passato”, quel prologo che precede il vero e proprio incipit della tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann. “Ha la forza delle quattro note che aprono la Quinta di Beethoven, il Destino che bussa alla porta.”

Mann s’intreccia con Sciascia (la cui scrittura “offre una progressione costante in arte di levare”), mentre Sciascia legge Calvino (Il sentiero dei nidi di ragno) e in un gioco di mise en abyme noi leggiamo Tuzzi che legge Sciascia che legge Calvino (e a me personalmente è tornato alla mente quando – deve essere stato il 2016 – ero impegnato nella lettura di Augusto figlio di dio di Luciano Canfora e dunque leggevo Canfora che leggeva Appiano che leggeva Seneca che leggeva Asinio (il riferimento è al titolo del capitolo 4 di quel saggio) e mi sentivo parte di un piccolo circolo di lettori.

È proprio vero quello che scrive Tuzzi: “Quando legge, il lettore non è solo. Così come i miti, per Lévi-Strauss, pensano fra loro, i libri si parlano” e quanto si dicono è soggetto a continua metamorfosi, così come ogni singolo lettore muta nel tempo. E con il tempo e la lettura diventiamo “amici cambiati” di noi stessi, come Goethe al ritorno dal viaggio in Italia.

Per tornare a Kafka, la sua prosa ricorda a Tuzzi la pittura di Caravaggio, e nel suo nome si chiude l’ultimo elzeviro, quello eponimo della raccolta. E i cavalli? Ci sono! A riprova della passione dell’autore – condivisa con Tolstoj – per questi animali (lo sanno bene i lettori più fedeli che hanno sugli scaffali della biblioteca di casa Perché Yellow non correrà).

Quelli raccolti qui sono elzeviri su cui riflettere e da gustare magari accompagnando la lettura con un caffè e intanto apprezzare quella forma di resistenza che è lo stile ben curato e l’uso, parsimonioso, di termini poco consueti, tanto che il correttore automatico, nel riportarli, li segnala come estranei al proprio vocabolario (“mescida” e il verbo “ossedere”).

Nelle pagine di questo volumetto il lettore s’imbatterà, tra gli altri, in Warburg ed Einstein, Nabokov e Kundera, Balzac e Baudelaire. E in un sorprendente Bearzot. Sarà dunque in ottima compagnia.

Saul Stucchi

Hans Tuzzi
La letteratura come una delle arti equestri
Italo Svevo
Collana Biblioteca di Letteratura Inutile
2025, 96 pagine
15 €

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