Ho provato un senso di sollievo, ieri sera, uscendo dalla Sala della Cavallerizza delle Manifatture Teatrali Milanesi dopo aver assistito – in prima nazionale – alla rappresentazione dello spettacolo Barbablù di Campirago Residenza per la regia di Michele Losi.
Ma la sensazione di essere fuggito da una gabbia di matti è durata una manciata di minuti, finché non ho avuto di nuovo la consapevolezza di vivere perennemente in una gigantesca gabbia di matti. Si chiama mondo. Che le pareti non siano così strette come quelle della Cavallerizza non diminuisce per nulla il senso di claustrofobia che si prova quando ci si rende conto della situazione.
Su una drammaturgia firmata da Sofia Bolognini i due interpreti Benedetta Brambilla e Sebastiano Sicurezza mettono in scena uno spettacolo molto fisico che li lascia provati al termine dei 70 minuti della durata: un vero esercizio di resistenza. Ma anche lo spettatore ne esce segnato. Colpito, disorientato, angosciato. Di traumi del resto è intessuto e scampoli di jeans blu – che rimandano al protagonista della storia – vengono a un certo punto disseminati sul palcoscenico e poi disposti in mucchi che ricordano la Venere degli stracci di Pistoletto.

Quando le musicassette non suonano Beethoven – non voglio spoilerare la bella trovata riguardante l’Inno alla gioia della Nona sinfonia perché è uno dei momenti più riusciti dello spettacolo e insieme una boccata d’ossigeno nell’atmosfera altrimenti mefitica – si ode martellante lo stillicidio della goccia che contribuisce a creare lo stato d’ansia.
La violenza è verbale, mimata, agita, subita, minacciata. Impregna la vita nella sua totalità. Quali i sintomi del barbabluismo (o della barbabluitudine)? Basta riconoscerli per neutralizzarli? E poi – domanda cruciale, la più inquietante di tutte – in cosa Barbablù differisce da noi? Ciascuno di noi non è forse un Barbablù nel suo profondo? E nemmeno tanto nel profondo, spesso, indipendentemente che porti in testa o meno un cappellino rosso con la scritta MAGA…
Decisamente più belli sono i costumi dello stesso Losi con Annalisa Limonta, come le scene, in particolare l’ampia gonna indossata da Benedetta, con pieghe da madonna fiamminga.

Lei e Sebastiano sono versatili e affiatati. Due veri talenti, anche nel fare attenzione a non chiudersi le dita nel coperchio della “scatola magica”, da cui estraggono cose, come da un vaso di Pandora. Lli avevo visti recitare a Campsirago in un memorabile Amleto. La natura brianzola aveva là un ruolo fondamentale, non di semplice cornice ambientale.
In qualche modo anche qui la Cavallerizza – uno spazio che può essere intimo o minaccioso o entrambe le cose insieme – funziona da terzo attore, amplificando le grida, limitando la prospettiva e dunque, per certi versi, negando la speranza di una liberazione.
Chi vuole, può vederci un po’ di Artaud in questo Barbablù tra i due personaggi che rimandano ai gemelli della Trilogia della città di K di Ágota Kristóf mentre parlano della mamma, del nonno e di una gallina chiamata Giovanna d’Arco e fanno un “riassunto” delle varie versioni della leggenda blu – pardon: nera – riguardante la sanguinaria figura del celebre uxoricida. Di sicuro si vedono due attori molto bravi che si meritano tutti gli applausi sentiti ieri sera. Anche i miei, ovviamente.
Saul Stucchi
Foto di Alvise Crovato
Barbablù
regia Michele Losiin scena Benedetta Brambilla e Sebastiano Sicurezza
drammaturgia Sofia Bolognini
scene e costumi Michele Losi e Annalisa Limonta
suono Luca Maria Baldini e Stefano Pirovano
luci Stefano Pirovano e Alessandro Bigatti
produzione Campsirago Residenza
Informazioni sullo spettacolo
Dove
MTM Sala CavallerizzaCorso Magenta 24, Milano
Quando
Dal 4 al 9 marzo 2025Orari e prezzi
Orari: da martedì a domenica 19.30Durata: 1 ora senza intervallo
Biglietti: intero 18 €; ridotti 11/10/9 €