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Voi siete qui: Storia » A due secoli dalla riscoperta, Petra dei Nabatei risplende a Basilea

22 Febbraio 2013

A due secoli dalla riscoperta, Petra dei Nabatei risplende a Basilea

Per visitare la mostra Petra. Splendore del deserto, si scende al piano inferiore dell’Antikenmuseum di Basilea e ancora prima di accorgersi del busto di Burckhardt, si nota l’immagine di una carovana di cammelli che attraversa il deserto, proiettata sul pavimento della prima sala. È un allettante invito al viaggio e non si può che accettarlo!
Petra_1
Il percorso espositivo è volutamente a zig zag per evocare il tracciato del siq (la spettacolare gola) di Petra, accostamento rinforzato dal colore ocra dell’allestimento, con pannelli poligonali che ricordano le rocce della perla del deserto. La prima parte si concentra sulla figura di Johann Ludwig Burckhardt, alias Sheik Ibrahim, dall’infanzia a Basilea (era nato alla fine del 1784), agli studi a Neuchâtel e Lipsia e al successivo trasferimento a Gottinga. Il giovane desiderava lavorare in diplomazia o diventare funzionario, ma non trovando occupazione in Germania pensò bene di emigrare in Inghilterra.

L’occasione di un viaggio avventuroso gliela offrì nel 1808 l’Associazione per la Promozione della Scoperta delle Parti Interiori dell’Africa (il cui nome bastava già a scoraggiare i più pavidi): la sua missione era esplorare l’Africa centrale alla ricerca di metalli preziosi. Da Malta giunse ad Aleppo e in Siria affinò il suo arabo. Desta sorpresa venire a sapere che Burckhardt visitò Petra quasi per caso. Era partito infatti da Il Cairo per il cuore del continente, ma alle carovane dirette a Timbuctù era stato imposto il blocco per evitare il propagarsi di un’epidemia che era scoppiata. Il nostro però temeva più di tutto l’inoperosità, per combattere la quale si trasferì in Nubia, nel Sinai e in Arabia. A piedi, a cavallo o su un cammello percorse migliaia di chilometri e alla fine il suo fisico dovette risentire di tutto quello sforzo: rientrato a Il Cairo il 15 ottobre del 1817, infatti, morì di dissenteria ad appena trentatré anni.

Petra_2
Nella prima parte della mostra sono esposti strumenti simili a quelli con cui Burckhardt elaborava le mappe delle regioni che visitava e le piantine delle città, antesignani dei nostri navigatori satellitari. Nonostante il viaggio alla Mecca nei panni di un fedele musulmano, rimane il mistero della sua conversione all’Islam, perché nelle lettere conservate egli non fornisce informazioni a questo proposito. Il percorso espositivo dà conto anche dei viaggiatori e degli esploratori che seguirono per primi le tracce dello svizzero, come William John Bankes, Charles Leonard Irby e James Mangles, mentre una piccola veduta di Aleppo alla metà dell’Ottocento, con la Cittadella sullo sfondo, fa tremare al pensiero dei danni che può aver subito la città in questi due anni di guerra civile.
Petra_5
Poi ci si addentra nella storia dei Nabatei e nella loro cultura (come parlavano e scrivevano), prima di scendere ancora percorrendo una sorta di canale che conduce davanti alla gigantografia del cosiddetto Tesoro, il monumento più celebre e fotografato di Petra. In una sezione è affrontato il problema dell’acqua nella città, poi l’attenzione si concentra su Petra come capitale dei Nabatei, attraverso l’esposizione di oggetti di uso quotidiano e di elementi architettonici, come alcuni spettacolari capitelli. In alcuni box è invece possibile visionare dei video in cui gli archeologi raccontano i risultati degli scavi più recenti, destinati a chiarire diversi aspetti della storia del sito rimasti finora oscuri.
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Come avevo già avuto modo di constatare visitando la precedente mostra, tutte le didascalie sono purtroppo soltanto in tedesco. Per fortuna però i visitatori hanno a disposizione anche una guida in francese, da riconsegnare al termine della visita. Un’altra perplessità la desta la scelta di accostare calchi a pezzi originali, una “moda” che non condivido e che ho già visto in altri contesti, come la peraltro bella e ricca mostra su Costantino a Milano. Proprio come quello di Palazzo Reale, anche questo percorso espositivo è generoso di reperti molto interessanti e non richiederebbe l’aggiunta di copie.
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Nella mia personale lista dei memorabilia mi sono segnato la stele votiva che potete vedere qui sopra; la statuetta in terracotta del gruppo di tre musicisti; la statua marmorea di Dedalo; i capitelli con gli elefanti e quelli floreali, con testa maschile e con pigna; il piccolo busto di Iside, in alabastro (purtroppo collocato troppo in basso); il rilievo architettonico con busto di Melpomene e quello con sfinge; la testa colossale di Marco Aurelio; il frammento di rilievo con la rappresentazione del dio Sole; il manico di coltello con testa di leone, in osso; ma sono molto belle anche le gigantografie, come quella che mostra in tutta la sua magnificenza la scalinata del Grande Tempio.
Soprattutto la mostra è da vedere perché riesce a restituire, per quanto possibile, l’emozione e lo stupore che dovette provare l’esploratore svizzero duecento anni fa, primo europeo a rivedere la perla del deserto dopo lunghi secoli di oblio.

Saul Stucchi

Didascalie:
– Busto di una dea pesce.
– Manico di coltello con testa di leone.
– Rilievo votivo con iscrizione.

PETRA. SPLENDORE DEL DESERTO

Sulle tracce di J.L. Burckhardt alias Cheikh Ibrahim

Fino al 20 maggio 2013 (in origine fino al 17 marzo 2013)

Antikenmuseum Basel
St. Alban-Graben 5

Basilea (Svizzera)

Orari: dal martedì alla domenica 10.00-17.00; lunedì chiuso

Biglietto: intero 20 CHF; ridotto 18/5 CHF

Informazioni: 

www.antikenmuseumbasel.ch
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