Felice Cimatti è una figura interessante della cultura italiana, per certi versi singolare. Di mestiere, insegna Filosofia del linguaggio all’Università della Calabria, interseca e avvicina nei suoi studi discipline come la linguistica, l’antropologia, la biologia, la zoosemiotica, la psicologia evoluzionistica, ma come sanno gli ascoltatori di Fahrenheit, non gli è estranea nemmeno la letteratura. Tant’è che gli ultimi due libri a suo nome una buona libreria li terrebbe a una certa distanza fra loro, uno fra la narrativa (magari persino di genere, ma questo dipenderebbe dalla pigrizia ottusa del mercato librario) e un altro… non sapremmo bene dove. Perché il saggio Naturalmente comunisti. Politica, linguaggio ed economia, edito da Bruno Mondadori – lo si vede dal titolo – tiene insieme temi apparentemente differenti indagati da prospettive altrettanto diverse. Invece la forza del volume, specie nella parte che precede le conclusioni, sta proprio nella chiara, persino didascalica a volte, disposizione interdisciplinare che tenta di dare ragione di un concetto – problematico quanti altri mai – di “natura umana” e vedere se è possibile di lì prospettare un’idea la più giusta e consequenziale possibile della politica. L’impresa non è uno scherzo, ma il tentativo e lo svolgimento del discorso sono ammirevoli.
Se il lavoro di Cimatti si spende appunto intorno a una determinazione, come dire, problematica e verosimile insieme del concetto di natura (indagine sul passaggio vischioso e mai del tutto definibile fra natura e cultura – artificio), una prima e non controvertibile conclusione è che se c’è uno specifico umano esso consiste nell’apertura intrinseca al regno “del possibile”. L’uomo, rispetto agli altri animali, sa, o dovrebbe sapere, che il mondo qui e ora è solo una possibilità fra altre – del resto, a un bravo insegnante, basterebbero la storia e la geografia per dimostrarlo “empiricamente”. Ma Cimatti è un ricercatore, ci arriva per altre vie. Per lui esiste una capacità propria della biologia umana, segnatamente nel suo linguaggio (l’”infinità discreta” di Chomsky), di mantenersi nell’orizzonte della possibilità. Solo che nel momento in cui il capitalismo si appropria delle risorse pubbliche, a partire dall’immaginario, dalla lingua (e in Italia lo sappiamo meglio che altrove), le possibilità di ognuno muoiono. Il capitalismo difatti è innanzitutto un’ideologia egemonica che è riuscita a far passare la convinzione che il suo modello del mondo sia appunto non un modello, ma il mondo in sé. Laddove vivere nella possibilità significa ricordarsi che non siamo altro che storia – la storia che accade, che dovremmo contribuire a far accadere. Solo così assume un senso la parola libertà. Che invece viene drammaticamente stornata in un’accezione menzognera: la libertà (e non per tutti) di comprare, di far viaggiare le merci, di trasformarci noi stessi in merce. Ora, se lo smascheramento di un’ideologia (il capitalismo) che finge di non essere tale, a Cimatti riesce benissimo, meno definita e sicura appare la nozione di comunismo da lui richiamata – che, va da sé, non ha da spartire alcunché con il comunismo orribilmente “realizzato” – benché l’autore si avvalga spesso e volentieri delle diagnosi di Marx.
Ma se la natura umana come entità stabile è un mito posticcio, nemmeno per gli altri animali (e lo studio del rapporto, della distanza-vicinanza con essi degli umani è un ottimo metodo per capire chi o cosa siamo) può darsi una volta per tutte una definizione del loro essere, che siano buoni o cattivi per esempio. Che ne è dell’ambiente, delle influenze esterne sul loro comportamento per esempio? Questo è lo sfondo tematico del bel romanzo Senza colpa che lo stesso Cimatti ha pubblicato presso Marcos y Marcos. Si tratta di un racconto avvincente, commovente persino, di un laboratorio dove si vuole dimostrare come anche i primati possano incrudelire se spinti da un ordine, da un addestramento. Il gesto crudele e immotivato sembra non appartenergli “in natura”, ma può essere indotto insomma. È quello che intuisce il primatologo John Sauvage, che per verificare e provare la sua tesi sottopone decine di scimpanzé a condizioni terribili, li manovra fino a metterli uno contro l’altro. A farli reciprocamente massacrare. Il campo concentrazionario in cui la violenza ha tutto l’agio di manifestarsi adombra una metafora “umana” chiarissima: “una persona può cambiare di molto se le metti in mano una pistola”. L’ambiente, la relazione, i rapporti, è questo l’ambito che viene recuperato da Cimatti, ciò che nelle strutture umane ha da fare, per esempio con la sociologia. Del resto, non era stata la Thatcher a dire che la società non esiste? Tout se tient.
Michele Lupo
Felice Cimatti
Naturalmente comunisti
Politica, linguaggio ed economia
Bruno Mondadori
2011; pp. 216
15 €
Felice Cimatti
Senza colpa
Marcos y Marcos
2010; pp. 158
14 €