Il titolo lascia già intravedere l’ampiezza del materiale esposto che spazia nell’arco di un trentennio. Si chiama infatti La fotografia in Italia 1945-1975. Capolavori dalla collezione Morello la mostra attualmente in corso a Forma, Centro Internazionale di Fotografia di Milano. Il criterio di selezione che sta alla base di un’esposizione è sempre opinabile e come tale può essere condiviso o meno dal singolo visitatore. In questo caso, tuttavia, risulta piuttosto sfuggente il tema della mostra, al di là della delimitazione cronologica che ritaglia un periodo fondamentale della nostra storia nazionale. Detto in altre parole il criterio di selezione appare fin troppo generico. Le foto sono molto belle, alcune spettacolari, altre profondamente drammatiche e toccanti, ma scorrono davanti agli occhi senza che si riesca a stabilire un filo conduttore che le tenga insieme. Vediamo i preti che si rincorrono di Giacomelli, gli internati degli ospedali psichiatrici (nelle intense immagini di Gianni Berengo Gardin e di Carla Cerati), gli italiani che si voltano al passaggio di Moira Orfei (celebre scatto di Mario De Biasi, datato 1954) e constatiamo quanta strada ha fatto l’Italia in quei trent’anni.

Alcune foto spiccano tra le altre grazie a qualche elemento che permette di apprezzarle in un insieme. La povertà, l’attaccamento alla terra, i patimenti della vita contadina (osservata attraverso la lente della fotocamera ma senza il filtro idealizzante dell’Arcadia) accomunano per esempio l’immagine di una madre con il figlioletto sulle ginocchia, ai piedi di un albero (Pepi Merisio), a quelle di un pellegrinaggio al Monte Autore (lo stesso Merisio) e alla festa di San Tomas a Chichicastenago, in Guatemala (De Biasi).
La storia e la cronaca nera emergono a tratti, richiamate da immagini come quella realizzata da Federico Patellani che ritrae il bandito Pisciotta (auto-accusatosi dell’uccisione di Salvatore Giuliano) con un imponente ciuffo di capelli ricci, mentre fuma strafottente la sua sigaretta in gabbia. La cronaca rosa e quella culturale, invece, fanno capolino da fotografie diventate esse stesse storia e icone culturali: Tazio Secchiaroli ha immortalato lo spogliarello di Aiké Nanà al Rugantino (era il 1958) e un ruspante Fellini che impugna la frusta sul set di Otto e mezzo (1963), mentre Elio Sorci ha paparazzato lo stesso Secchiaroli alle prese con un furente Walter Chiari in Via Veneto.
Le foto più toccanti sono però quelle della rivolta di Budapest del 1956, scattate da De Biasi. E su tutte rimane impressa nella retina quella che ritrae il linciaggio del cadavere di un agente dell’Avh, un’immagine profondamente tragica che ricorda la crocifissione di Pietro del Caravaggio. Il corpo martoriato e ormai privo di vita viene trascinato per i piedi con una corda; il volto è ricoperto di sangue ormai rappreso. La bocca spalancata di uno degli aguzzini è la smorfia del male, ma l’occhio del fotografo ha catturato anche l’indifferenza degli spettatori.
Saul Stucchi

La fotografia in Italia. 1945-1975
Capolavori dalla collezione Morello
FORMA Centro Internazionale di Fotografia
Piazza Tito Lucrezio Caro 1
Milano
Dal 12 febbraio al 2 giugno 2010
Orari: tutti i giorni 10.00-20.00; giovedì e venerdì fino alle 22.00
Lunedì chiuso
Biglietto: 7,50 €; ridotto 6 €
Informazioni: tel. 02.58118067
www.formafoto.it
Didascalie:
- Piergiorgio Branzi
Pasqua a Tricarico (1955) - Gianni Berengo Gardin
Il traghetto di San Tomà (1959) - Mario De Biasi
Linciaggio del cadavere di un agente dell’Ahv (1956)