Siamo abituati (dovremmo esserlo, perlomeno) ad approcciarci alle opere d’arte con un misto di venerazione e di titubanza derivante dalla consapevolezza della fragilità che accomuna queste irripetibili prove dell’ingegno umano. A volte finiscono sulle pagine di cronaca dei giornali perché qualche squilibrato (non sempre del tutto inconsapevolmente) sfoga su di esse una sua qualche frustrazione.
Ma il rischio maggiore è quello di adattare al mondo dell’arte la cinica sentenza di Stalin, secondo la quale una morte è una tragedia, un milione di morti è una statistica. Così la distruzione e la dispersione di intere collezioni è stata in passato archiviata come danno collaterale degli eventi bellici.
La mostra Brera e la guerra, in corso fino al 21 marzo alla Pinacoteca di Brera, è una buona occasione per non dimenticare quanto possano essere gravi questi danni collaterali. Forse sarebbe stato più corretto declinare al plurale la seconda parte del titolo, dato che la piccola esposizione fotografica dà conto di entrambe le guerre mondiali.

Il visitatore, per esempio, può soffermarsi di fronte all’immagine che ritrae la sala IX (quella che ospitava i capolavori di Mantegna, Giovanni Bellini e Carlo Crivelli) ormai spoglia e provare un senso di vuoto: non restavano che le cornici e le panche avvicinate ai muri. L’ha scattata forse nel 1915 un fotografo che i curatori non hanno potuto identificare.
Di un altro fotografo anonimo è l’immagine che immortala le casse contenenti le opere di Brera depositate nell’ufficio esportazione al piano terra del palazzo (datata attorno al 1918). Si vedono poi degli operai che innalzano protezioni con sacchi di sabbia davanti ai quadri. Il soprintendente Ettore Modigliani dispose la chiusura al pubblico della Pinacoteca il 27 maggio del 1915, pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra italiana all’Austria-Ungheria.
Meno di due anni e mezzo dopo, la disfatta di Caporetto consentiva alle truppe austriache di sfondare il fronte sull’Isonzo e di avanzare di circa 150 chilometri verso la pianura padana. Tra il 1917 e il 1918 centinaia di opere d’arte dovettero affrontare un vero e proprio esodo che le portò da Milano a Roma, dove furono raccolte a Palazzo Venezia.

Immaginiamo a questo punto di essere al cinema: il film che stiamo vedendo ci propone un veloce scatto in avanti di una ventina di anni, ma la scena si ripete. Il 10 giugno del 1940, infatti, l’Italia scendeva in campo (parole del Duce) contro le “democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente”, ovvero Francia e Inghilterra. Qualche giorno prima, in questo caso, il soprintendente di allora, Guglielmo Pacchioni, si trovò a ripetere il gesto del suo predecessore: Brera chiuse di nuovo i battenti al pubblico. Il sintetico pannello a forma di lavagna riporta una breve cronologia che si perde per strada la segnalazione dell’occupazione nazista di Parigi (a cui l’anno scorso il Louvre ha dedicato una mostra con la quale questa e una dedicata alla guerra civile spagnola attualmente in corso a Madrid hanno molto in comune).
Il ministero proibì di documentare con fotografie le operazioni di imballaggio e spedizione delle casse contenenti le opere d’arte. Intanto nelle città i monumenti d’interesse storico e artistico venivano contrassegnati con un rettangolo nero e bianco bordato di giallo perché i piloti degli aerei nemici evitassero di colpirli. Le foto scattate da Claudio Emmer, Antonio Paoletti e Bruno Stefani testimoniano i danni subiti dal Palazzo di Brera, soprattutto a causa dei bombardamenti del 7 e 8 agosto 1943. Un prezzo molto alto venne pagato anche dagli altri gioielli milanesi: a cominciare dal Duomo e dalla Scala sventrata, per passare alla basilica di Sant’Ambrogio, alla Biblioteca Ambrosiana, al Castello Sforzesco e al Museo Poldi Pezzoli, di cui rimase in piedi soltanto la facciata. Un filmato dell’Istituto Luce riprodotto senza sonoro (per “censurare” i commenti dell’epoca, denuncianti gli atti di terrorismo degli Alleati?) ricorda la Milano sotto le macerie, mentre le fotografie in bianco e nero mostrano le casse dei dipinti ricoverate nella Pinacoteca Vaticana, il cortile di Brera con la statua del Napoleone – Marte del Canova sotto l’incastellatura realizzata come scudo protettivo, le casse contenenti i volumi di pregio della Braidense caricate su un camion. Un pannello ricorda l’enfatica esortazione del ministro Bottai: “il patrimonio artistico nazionale deve essere difeso alla stessa stregua delle famiglie, delle case, della terra”. Grazie all’opera del personale della Pinacoteca, a cominciare dal soprintendente Pacchioni, i capolavori di Brera scamparono al secondo conflitto mondiale. E facendo il giro della collezione si possono individuare alcune tra le opere più celebri segnalate da un riquadro che riporta sommariamente il percorso compiuto per sfuggire ai pericoli della guerra ma anche ai rischi di requisizione da parte degli alleati tedeschi.
Saul Stucchi

Brera e la guerra
La salvaguardia delle opere della Pinacoteca
Fino al 21 marzo 2010
Pinacoteca di Brera
Via Brera 28
Milano
Orari: 8.30-19.15 da martedì a domenica (la biglietteria chiude 45 minuti prima)
Chiuso lunedì
Biglietto: intero 10,00 €; ridotto 7,50 €
www.pinacotecabrera.net
Didascalie:
- Antonio Paoletti
Milano, Pinacoteca di Brera: la sala XXV con il pavimento sfondato dalle bombe e la sottostante stanza dell’Accademia di Belle Arti (1943-1945)
Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici, Archivio Fotografico, inv. P10/90 - Milano: il carro tirato dal mulo, carico di casse con le opere di Brera, attende alla stazione ferroviaria di Porta Vittoria (1918)
Milano, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici, Archivio Fotografico, inv. 316 AV - Guglielmo Pacchioni
Cesano Maderno, Istituto per la Storia dell’Arte Lombarda, Archivio Fotografico