
“Se una cosa vale la pena farla una volta, allora vale la pena farla in continuazione – esplorandola, indagandola, facendo della sua ripetizione il motivo per cui il pubblico la osserva”.
Lo sosteneva Mark Rothko (1903-70), pittore di origini lettoni ma cresciuto negli Stati Uniti a Portland (Oregon), ed è esattamente ciò che accade nelle nove sale della Tate Modern di Londra dove viene ospitata una straordinaria rassegna dei lavori realizzati nella seconda parte della sua vita. 
Rothko vede infatti le sue opere quasi come oggetti di contemplazione che richiedono un coinvolgimento completo dell’osservatore: i visitatori si avvicinano e si allontanano in continuazione dalle opere, in cerca di dettagli quasi invisibili oppure assorti nel tentativo di trovare una visione complessiva. Egli dipinge tele spesso immense, dove elementari strutture geometriche galleggiano lievemente e talvolta si distinguono dallo sfondo solo grazie a impercettibili variazioni cromatiche o di orientamento delle pennellate.
Contrariamente ai suoi primi lavori, caratterizzati da toni intensi e luminosi, nella parte finale della sua carriera dominano il marrone, il rosso e il nero.
L’illuminazione delle sale, perfetta nel suo essere così lieve e flebile, sprofonda i visitatori in uno stato quasi meditativo, soprattutto nella sala dedicata a The Four Seasons.
All’inizio del 1958 a Rothko fu commissionata la realizzazione di una serie di dipinti murali per l’esclusivo ristorante Four Seasons nel Seagram Building di New York. Rothko iniziò a lavorare intensamente sull’opera in un nuovo studio appositamente affittato per consentirgli di simulare le dimensioni e le proporzioni della sala principale del ristorante; benché gli fossero state commissionate solo sette opere, ne dipinse una trentina.
Purtroppo l’entusiasmo iniziale andò scemando lentamente, e con il tempo dubbi sull’effettiva adattabilità di una tale opera a un ristorante cominciarono a farsi largo nella sua mente, fino a fargli rifiutare in ultimo l’incarico ricevuto.
A metà degli anni ’60 l’allora direttore della Tate Gallery, Norman Reid, propose a Rothko di esporre una parte delle opere realizzate in una sala dedicata, che prese il nome di Rothko Room. Otto di questi murali sono esposti nella sala più ampia della rassegna, per la prima volta insieme a una selezione proveniente dal Kawamura Memorial Museum of Art (Giappone) e dalla National Gallery of Art di Washington.
È possibile sedersi nel centro della sala per potere godere dello spettacolo visivo e dell’atmosfera contemplativa (e quasi religiosa) che si respira. Si percepisce un fortissimo senso collettivo dell’opera ma ci si lascia piacevolmente trascinare nella ricerca dei dettagli: solo inclinando lievemente la testa o giocando con l’illuminazione è possibile scoprire come le figure geometriche, le pennellate e le macchie contribuiscano a formare superfici immateriali.
Questo comportamento trova la sua apoteosi (pagana, però) in una sala dedicata alle analisi effettuate dal Conservation Department della Tate in collaborazione con specialisti olandesi e italiani; i lavori di Rothko vengono studiati tramite luce ultravioletta e altre tecniche fotografiche, rivelando così gli strati compositivi e le successive lavorazioni necessarie all’autore per giungere al risultato finale. Uno studio interessante ma che forse toglie un po’ di fascino alla visita, soprattutto se visto a così breve distanza dall’opera originale.
Di grande interesse anche le opere commissionategli da Dominique de Menil, un collezionista franco-americano che visionò le opere destinate al Seagram e ne rimase entusiasta.
De Menil propose a Rothko di dipingere una serie di tele destinate a una cappella di Houston pensata come luogo di incontro fra arte moderna, architettura e religioni, che prese poi il nome di Rothko Chapel.
I quattordici lavori sono incentrati sulle varie tonalità del nero, e la rassegna della Tate espone le prove e i bozzetti che Rothko realizzò in preparazione del lavoro finale; disegni di particolare importanza poiché la struttura architettonica della cappella risentì molto delle sue scelte e delle necessità specifiche delle opere realizzate.
Benché Rothko abbia poi continuato a dipingere opere singole di valore, sono proprio queste serie commissionategli tra gli anni Cinquanta e Sessanta a costituire il cuore più significativo della sua produzione nella parte finale della sua carriera.
Alessandro Pecci
Rothko: The Late Series
Fino al 1° febbraio 2009
Tate Modern
Bankside
SE1 9TG
Londra
Orari: dalla domenica al giovedì 10:00-18:00, venerdì e sabato 10.00-22.00
Biglietto: 12,20 £
www.tate.org.uk/modern
Didascalie:
- Mark Rothko
Untitled, Mural for End Wall 1959
National Gallery of Art, Washington, Gift of The Mark Rothko Foundation, Inc. 1985.38.5 © 1998 by Kate Rothko Prizel and Christopher Rothko
265.4 x 288.3 - Mark Rothko
Untitled 1969
National Gallery of Art, Washington, Gift of the Mark Rothko Foundation, Inc. 1986.43.164 © 1998 by Kate Rothko Prizel and Christopher Rothko
229.6 x 175.9 - Mark Rothko
Untitled (Brown and Gray) 1969
National Gallery of Art, Washington Gift of the Mark Rothko Foundation, Inc. 1986.43.283 © 2008 by Kate Rothko Prizel and Christopher Rothko
182.5 x 122.2