No, signora, non è stato “carino”. Mentre scendevo la scalinata del Piccolo Teatro Strehler ho sentito una spettatrice definire così lo spettacolo a cui avevamo appena assistito. Non so chi fosse e non ho visto a chi si rivolgesse. Ma “Furore” è stato tutto tranne che “carino”.
Massimo Popolizio ha ideato e dato voce a uno dei capolavori di John Steinbeck, adattato per il teatro da Emanuele Trevi. Ieri sera è andata in scena la prima, le cui repliche si protrarranno fino al 20 giugno.

Avevo ancora fresco nella memoria “Pilato”, visto lo scorso luglio nel piccolo teatro all’aperto antistante la Biblioteca Cassina Anna di Milano. Pensavo che “Furore” sarebbe stato qualcosa di simile, nella struttura e nell’atmosfera. Mi sbagliavo.
Furore e Pilato
“Furore” e “Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, dal cui secondo capitolo è tratto “Pilato”, sono due romanzi molto diversi. E altrettanto lo sono gli spettacoli interpretati da Popolizio. Tra parentesi: ricordo di aver ascoltato le parole con cui, alla fine di “Pilato”, tre ragazzi condividevano tra loro le rispettive considerazioni. Come a conferma del proprio giudizio positivo, uno dei tre disse: “È un attore famoso: ha recitato anche in un film di Aldo, Giovanni e Giacomo”. In realtà è apparso in due loro film: “Dio perdonali, non sanno nemmeno contare”, è proprio il caso di dire. Battute a parte, se “Pilato” è intimo e metafisico, “Furore” è corale e terreno. Entrambi i testi traggono linfa da profonde radici nella Bibbia, ma Bulgakov si abbevera ai Vangeli, Steinbeck si nutre invece di Antico Testamento.
La polvere, la siccità e la carestia su cui si apre “Furore” richiamano le piaghe d’Egitto. Quello dei contadini scacciati da Oklahoma (appunto “Okies” erano detti in tono spregiativo questi campagnoli), Arkansas e altre regioni centrali degli Stati Uniti è un esodo davvero biblico. Un intero popolo è costretto a disfarsi della propria terra, degli strumenti con cui l’ha addomesticata e resa fertile, delle case e delle pertinenze.
Le banche hanno appetiti come gli uomini, ma non conoscono pietà. I trattori sostituiscono i braccianti. Che fare? Andare a ovest per raggiungere la California, la nuova Terra Promessa, dove frutta e verdura sembrano crescere rigogliose quasi senza fatica da parte dell’uomo. Certo, la chimica fa la sua parte e produce i suoi frutti, ma The Golden State non è il paradiso, non per i migranti (di ieri e di oggi).
Esodo americano
“Furore” è raccontato in scene o capitoli. Accompagnato e sostenuto dalle percussioni di Giovanni Lo Cascio – con due assoli da applausi, per il primo dei quali li ha ricevuti veramente, ieri sera – Popolizio si spende, voce e corpo, in una lettura che è essa stessa musica: a volte sincopata, altre accelerata.
Il tono cambia quasi di parola in parola per farsi patetico o furente, cinico o drammatico, tra preghiere e bestemmie, tra speranze e delusioni. Alle sue spalle scorrono brevi video e fotografie in bianco e nero, alcune delle quali – realizzate da Walker Evans e Dorothea Lange – sono esposte nel foyer del teatro.

La fiumana (uso volutamente questo termine, con riferimento alla celebre opera di Giuseppe Pellizza da Volpedo) si sposta lungo la Route 66. Attraversa il Paese su carrette che macinano chilometri in condizioni peggio che precarie, spesso arrendendosi definitivamente sul ciglio della strada. “Come faremo a vivere senza le nostre vite?”, si domandano prima di mettersi in viaggio.
Ci riusciranno – chi ci riuscirà – a costo di sacrifici e di rabbia. A spingerli la necessità, la fede e la speranza di un futuro migliore, il sogno di un mondo in cui nessun bambino dovrà morire di fame. E tra bastardi e profittatori senza pietà, incontreranno anche qualche buon samaritano.
Lo spettatore farà fatica a trattenere le lacrime, tanto le parole di Steinbeck e la voce di Popolizio gli scavano nel cuore. No, signora, non è stato “carino”. “Furore” è uno spettacolo che lascia il segno e si merita la standing ovation finale.
Saul Stucchi
Foto di Federico Massimiliano Mozzano
La seconda foto è di Saul Stucchi
Furore
dal romanzo di John Steinbeckideazione e voce Massimo Popoliziobr> adattamento Emanuele Trevi
musiche eseguite dal vivo da Giovanni Lo Cascio
Informazioni sullo spettacolo
Dove
Piccolo Teatro StrehlerLargo Greppi 1, Milano
Quando
Dall’8 al 20 giugno 2021Orari e prezzi
Orari: da martedì a sabato 19.30domenica 16.00
lunedì riposo
Durata: 80 minuti senza intervallo
Biglietti: intero platea 32 €; intero balconata 26 €