“Cominciò tutto con un paio di occhiali”, scrive Richard O. Prum. “Ebbi i miei primi occhiali in quinta elementare e nel giro di sei mesi diventai un birdwatcher”: se questo fu l’inizio, l’ornitologo americano – autore di uno splendido volume tradotto da poco per Adelphi, “L’evoluzione della bellezza” – sarebbe poi migrato verso la biologia evolutiva per abbracciare una sfida affascinante, sintetizzabile in una “questione piuttosto ampia: l’evoluzione della bellezza. E non intendo la bellezza, come la vediamo noi. Piuttosto, quello che mi interessa è la bellezza dal punto di vista degli uccelli”.
Il lavoro di Prum parte mostrando come il darwinismo ortodosso (o quello che l’autore chiama neodarwinismo) si sia impiantato su un falso, ossia sull’omissione sostanziale di quella parte de “L’origine dell’uomo” in cui Darwin invece ammetteva la possibilità di una selezione sessuale nella storia evolutiva. E che a compiere queste scelte fossero (siano) spesso le femmine, dall’interno di un’autonomia non necessariamente legata all’utile, quanto all’estetica: ciò che sola per Prum darebbe conto della varietà e degli eccessi ornamentali registrabili in natura.

Il “gusto del bello” si affianca così alla “legge di combattimento”, per restare ai termini darwiniani, il primo dei quali risultava incompatibile con la cultura vittoriana che già aveva faticato ad accettare il materialismo della selezione naturale e ora una ragione definitiva al perché delle cose la trovava comunque nel trionfo della cultura positivista (il determinismo è a suo modo una forma di monoteismo religioso).
Per Prum, prosecutore di un Darwin passato al setaccio della filologia, c’è una soggettività e un’arbitrarietà dell’esperienza estetica che va ben oltre il dogma dell’adattamento ambientale: “Gli uccelli scelgono il proprio partner sulla base delle preferenze per determinati colori, tipi di piumaggio, canti e display. Questo meccanismo ha portato all’evoluzione degli ornamenti sessuali, di cui gli uccelli sono ricchissimi”.
Ora, se fu proprio il gruppo di lavoro dell’Università di Yale del quale Prum era parte a riconoscere agli uccelli capacità visive per noi inimmaginabili, il nostro fa un passo ulteriore rispetto al mero dato fisiologico di una retina “aumentata”: da alcune specie – è il caso di dire – Prum ha preso il volo per lavorare a un tema assai più interessante, quello di una capacità estetico-cognitiva degli uccelli di vedere e perciò di scegliere non per mere ragioni di adattamento e rafforzamento della specie ma per il puro piacere estetico.
Questo intende Prum per punto di vista degli uccelli, uno spostamento di paradigma che assume come principio vitale quello (direbbe un poeta) dello spreco – perché tale è una vita estetica; non un meccanismo adattivo soggetto all’utile – il cosiddetto segnale onesto – , ma l’arbitrio della “bellezza che càpita”.
L’evoluzionismo classico, scrive Prum, fatica a riconoscere l’esperienza soggettiva, cosa che l’autore fa invece seguendo a ritroso l’evoluzione degli ornamenti e delle conseguenti preferenze in determinate specie. Il che equivale anche ad abbozzare una storia naturale del desiderio; ci sono forze evolutive che affiancano quelle della selezione naturale e aprono al principio diverso della selezione sessuale: i biologi evoluzionisti per lo più pensano che anche le informazioni estetiche rispondano a un codice utilitaristico (i geni buoni del partner, la garanzia di forza, di una sana discendenza ecc…) laddove Prum rileva come si possano compiere anche scelta maladattive perché concentrate su un piano meramente estetico: il che peraltro ci rassicura sull’inevitabilità delle vicissitudini amorose e passionali che hanno scritto la storia umana (la grande letteratura lo ha sempre saputo).
Le specie di cui si serve Prum per il suo studio sono diverse, dall’argo maggiore, virtuosista di corteggiamenti sontuosi, “poliginico, estremista dell’estetica”, già individuato da Darwin come una “buona prova” della selezione sessuale, nella cui penna, una sola, “si sommano la livrea della zebra, del leopardo, dei pesi farfalla” ecc…: la femmina del fasianide lo induce a fornire “esperienze sensoriali strabilianti” – per il suo piacere, non per un interesse genetico di là da venire.
Vale anche per le danze dei manachini, o per i maschi della paradisea superba, o repubblicana, per i galletti di roccia della Guyana ecc… – in ogni caso, scrive Prum, “il piacere càpita”, e così la bellezza. E se adattarsi resta un movente alle azioni dei viventi, ciò può convivere con l’attrattiva, in taluni casi opposta, irresistibile della bellezza – anche quando questo conduce alla decadenza.
Come dire, c’è un fondo che potremmo considerare irrazionale nella vita in quanto tale, ma non è detto che inseguire la bellezza e il piacere in luogo dell’utile possa ritenersi irragionevole. L’ornitologia per Prum è un mezzo per sconfinare nell’umano: come il canto tonale del manachino delizioso prodotto dal vibrare delle ali è puro spettacolo seduttivo, così le rotondità dei fianchi o dei seni nelle donne si sono evolute non solo per le necessità della selezione naturale ma seguendo il tracciato imprevedibile del desiderio (maschile? E di questi tempi, chi può dirlo?).
Il lettore dia un’occhiata al corredo illustrativo del volume, per esempio alla scenografia allestita dall’uccello giardiniere del Vogelkop, in Nuova Guinea, per vedere all’opera delle tecniche di seduzione in cui il bello è mezzo e fine contemporaneamente: visione estetica della vita, la definisce Prum, uno che sembra saperla lunga.
Michele Lupo
In copertina: John James Audubon, Gazze americane (tavola tratta da The Birds of America, Londra, 1827-1838).
British Library Board. All rights reserved/ Bridgeman Images
Richard O. Prum
L’evoluzione della bellezza
Traduzione di Valentina Marconi
Adelphi
Collana Animalia
20202, 588 pagine
35 €