“Quattordici spine. La prima indagine dell’ispettore Traversa in Sicilia” di Rosario Russo ha inaugurato nell’aprile dell’anno scorso la collana “Scritti in giallo” di Algra Editore diretta da Alfio Grasso. È il secondo romanzo di Russo (classe 1986) dopo quello storico intitolato “Il Martirio del Bagolaro”, anch’esso ambientato nella sua città natale, Acireale.
Qui però siamo al giorno d’oggi, anzi a quello di ieri: l’autore situa la vicenda di “Quattordici spine” alla fine di maggio del 2018. Protagonista è naturalmente l’ispettore Luigi Traversa del titolo, catapultato dalla veneta Feltre alla siciliana Acireale. Inevitabilmente ha qualche problema di ambientamento, trovandosi a metabolizzare in un amen il passaggio dalla polenta di mais sponcio e funghi alla cartocciata alle melanzane.

L’avrebbe qualunque abitante del Belpaese che anche solo cambiasse di provincia all’interno della stessa regione, figurarsi un giovanotto che si ritrovi mille trecento chilometri più a sud di casa sua. Ho verificato la distanza tra le due città su Google Maps. Curiosamente il secondo itinerario consigliato – il primo è in gran parte lungo l’Autostrada A1 – propone di passare dalla Croazia e di traghettare a Bari. Se 24 ore di viaggio un po’ spaventano, anche le 14 ore (e 16 minuti) della prima opzione non sono certo una passeggiata.
Tutto ciò per dire che l’Italia è lunga e tiene insieme – noi siamo di quelli che dicono: per fortuna! – tante realtà diverse, non solo un’infinità di prelibatezze gastronomiche. Al buon Traversa, comunque, la cartocciata piace assai e gli servirà come antipasto, è il caso di dire, per gustarsi la nuova vita in Sicilia. Che in realtà non inizia bene, visto che già a pagina 12 si ritrova un morto ammazzato a due passi da casa. E non un morto “qualsiasi”…
L’assassinio di Don Mario era il primo caso importante da quando si trovava in quella città, cioè da poco più di una settimana. Gli avevano descritto Acireale come un posto tranquillo, il luogo adatto in cui dimenticare e ripartire, ma intanto qualcuno aveva pensato bene di accoppare niente di meno che u parrinu, come avrebbero detto lì, e non un officiante qualsiasi, ma uno dei più importanti, quello della Basilica prospiciente il Duomo della città”.
Maschere e fichi d’India
Cos’ha da dimenticare l’ispettore Traversa? Non saremo certo noi a svelarvelo. Possiamo però anticipare che il poliziotto ha problemi di cuore con la sua Sara e, appunto, un passato di cui non andare fiero. Rimane sottotraccia e ogni tanto rispunta in superficie. Ma adesso è il presente a preoccuparlo, sotto forma di indagine da intraprendere e condurre a buon fine nel paese dei Gattopardi, dove le maschere sono sempre state più visibili dei volti, anche prima del Coronavirus.
– Io le dico un’ultima cosa piuttosto. Pirandello aveva ragione…
– Cosa c’entra Pirandello adesso?
– Viviamo nella terra dell’essere e dell’apparire.
Ma prima compare Sciascia, nume tutelare di chi scriva di Sicilia, e dunque dell’Italia intera, perché – noi pensiamo – la Sicilia di Sciascia è come il Mediterraneo di Braudel: supera di molto i confini geografici ufficiali. “Mi stia a sentire, prendo in prestito una frase del maestro di Racalmuto: «certe cose, certi fatti, è meglio lasciarli nell’oscurità in cui stanno…»”.

Che sia una “storia di fimmini“? Cherchez le femme! Terra di misteri, di morti ammazzati, di “giornalisti impiccioni”, di vescovi che citano Voltaire, di parrocchie (non necessariamente religiose) e di santi. Come San Giovanni Nepomuceno, Santa Venera, San Pietro e San Sebastiano…
Attorno all’ispettore Traversa si muovono alcuni personaggi di primo piano e altri invece comprimari. Alberto Bevilacqua (!), è un direttore di banca più interessato a conoscere se stesso che a gestire la sua filiale. Sarà lui a guidare il poliziotto alla scoperta delle prelibatezze acesi, compreso il “cosiddetto trunzu di Aci” (non so il cavolo rapa, ma la storiella è gustosa).
Ma è il fico d’India a rappresentare meglio la Sicilia, perché ne è la metafora. Gliela spiega proprio Bevilacqua:
Magari quello che sto per dirti sarà un luogo comune, ma i luoghi comuni contengono sempre un fondo di verità: c’è chi sostiene che non ci sia cosa migliore di assaggiare un fico d’India per comprendere la Sicilia. Se si vuole assaporare la dolcezza del frutto, bisogna prima eliminare ogni timore di affrontarne le spine. Questo equivale a capire cosa significhi vivere in Sicilia”.
Certo: per Taverna non sarà impresa semplice. Del resto lo sanno tutti i lettori di Sciascia: le storie semplici sono le più complesse. L’ispettore dovrà individuare il movente del delitto e districarsi dalla rete di depistaggi che tenterà di bloccarne l’azione.
La prosa di Russo si fa leggere con gusto perché scorrevole all’interno di una struttura ben architettata. Un editing un po’ più rigoroso avrebbe eliminato le poche sbavature e forse limitato le tante volgarità, spesso peraltro superflue (la prima pagina si chiude con un trittico di apparati genitali maschili, tanto per fare un esempio).
Ma tant’è: questa è solo “La prima indagine dell’ispettore Traversa in Sicilia”.
Saul Stucchi
Rosario Russo
Quattordici spine
La prima indagine dell’ispettore Traversa in Sicilia
Algra Editore
2019, 184 pagine
14 €