«Questa Antologia di testi libertini francesi del XVIII secolo raccoglie testi di autori fondamentali e scrittori minori, classici della ragione filosofica e narratori, dilettanti arguti e innovatori della stessa storia letteraria – uniti tutti da “una cosa seria, una filosofia, un modo di vivere, una questione di responsabilità, talvolta, una cosa tragica addirittura». Così scrive nell’introduzione al volume la curatrice Maria Antonietta Del Boccio: è di libertinismo che parla. Mettendo subito sull’avviso che esso non ha a che fare con il mero edonismo, né con ciò escludendo l’aspetto dissoluto che però – sostiene – «rappresenta una vistosa distorsione di un atteggiamento mentale che presenta aspetti profondamente morali».
Salvo, eccepirebbe il lettore, che si potrebbe essere moralmente dissoluti, no?
La complicazione del concetto con le sue possibili declinazioni sta già nella fattispecie di una domanda propedeutica, ovverosia se si tratti di liquidare – si fa per dire – l’argomento in termini storicistici o se si possa parlare di un modo di essere libertini (o pensare soltanto? non uggiosa complicazione) per così dire sovrastorico.
Il libertinismo ha da fare con la morte, secondo Del Boccio. Dunque esso supera, a ritroso o in avanti, la mera determinazione storica che ne scorge in epoca moderna il momento sorgivo verso la fine del ‘500 (non estranea la figura del Machiavelli, ovviamente fuori da questo florilegio, come Ferrante Pallavicino o altri italiani) per poi fissarsi nell’anticanone del ‘700 (implicitamente ammesso dalla stesa stesura dell’antologia, non casuale). Ovvio ricordare il Don Giovanni, e con lui l’impertinente Da Ponte (assai più irriguardoso dello stesso Amadé che lo musicò). La morte è sfidata, irrisa, dissacrata, e con essa il principio di autorità che si traveste nella simbolica culturale che domina la storia – che si tratti di potere politico o religioso (il primo servendosi del secondo). Essere libertini è affar serio insomma, può avere le sue ricadute come dire ideologiche (finiamola di demonizzare la parola come se oggi vivessimo in una condizione “di natura”), – ma nemmeno questo è una costante. Ci sono corti europee infatti dove il libertinismo si accampa con qualche indulgenza e furberia, consentita dall’appartenenza di classe.
Ma più spesso sono prese di posizione rischiose; la polemica religiosa implica un’indisponibilità dichiarata al potere politico e ai suoi codici culturali. Le relazioni fra le persone diventano per definizione “pericolose”. Lo sanno lo stesso Laclos e il saggio Diderot, il folle Sade e il non meno spregiudicato Mirabeau.
Insomma, v’è accanto a un libertinismo filosofico più impegnativo (D’Holbac o La Mettrie, che fa saltare la dicotomia prima platonica poi cartesiana di mente e corpo, spirito e materia), una sua accezione estetizzante – specie fra baroni e nobili disinvolti – una disposizione teatrale e spettacolare, una sua rotta viziosa ed estrema (Sade ovvio, Restif de la Bretone, ancora Mirabeau…). Estratti di romanzi, brani di opere teatrali o musicali, brevi racconti, escursioni filosofiche, lettere e testimonianze anche di personaggi poco noti al grande pubblico, riassunto in un secolo, il ‘700 e in un luogo, la Francia, che alla storia del libertinismo hanno dato il contributo più significativo di tutti i tempi.
Michele Lupo
Tutti i piaceri dell’intelletto
Antologia di testi libertini francesi del XVIII secolo
A cura di Maria Antonietta Del Boccio
Edizioni Dedalo
2012, pagine 336
18 €