Seconda parte del reportage di Valeria Lonati sulla Palestina.
Finalmente attraverso il Muro. Due soldati israeliani mi controllano velocemente il passaporto e mi lasciano subito passare. “La fortuna di avere il passaporto europeo” penso. Eccomi quindi per la prima volta in un territorio che non ha stato, non ha confini. Anche se ha muri.
Cosa significa essere in un posto che non è uno stato? E queste persone che vedo qui chi sono? Se non sono cittadini di uno stato, cosa sono? Quale è la loro appartenenza? Cosa significa essere palestinesi? Cos’è la Palestina? Mille domande mi piombano addosso e per ognuna di esse trovo mille risposte, o forse nessuna.
Scrollo e svuoto la testa, cercando di capire dove devo andare. Mille tassisti mi offrono un passaggio. Ma mi aspettano due ragazzi italiani che stanno passando l’estate in Terrasanta per volontariato. Loro mi accompagnano in quella che sarà la mia casa per questi due mesi.

Nel tragitto dal check-point a casa cercano di farmi orientare. Qui la strada principale (l’unica!), qui la Chiesa della Natività, qui a destra abitano i cristiani, qui a sinistra i musulmani, qui il suq, ovvero il mercato musulmano, qui un supermercato cristiano (se vuoi una Taybeeh Beer, la buonissima birra palestinese), qui un supermercato musulmano (se vuoi fare spesa alla domenica), qui un ristorante musulmano (dove però vanno solo uomini), qui un ristorante cristiano.
Ah dimenticavo. Lì una colonia ebraica. Già… qui di realtà da conoscere ce ne sono molte. Coloni ebrei in territorio palestinese. Palestinesi musulmani. Palestinesi cristiani. Palestinesi cisgiordani. Palestinesi di Gaza. Palestinesi di Fatah. Palestinesi di Hamas.
Mi aspettavo un popolo coeso e unito. Ho sempre pensato non ci fosse niente di più forte di un nemico per unire. E loro sono in guerra e il nemico c’è ed è Israele. Invece scopro che cristiani e musulmani non escono insieme. Che i cisgiordani considerano gli abitanti di Gaza “troppo nervosi”. La mia confusione cresce di giorno in giorno.

Forse è meglio iniziare con calma. La prima realtà che conosco è quella cristiana. In fondo sono nella città dove Gesù dovrebbe essere nato. Non sono credente, ma alla fine decido di passare il mio tempo in Palestina con le suore argentine del Verbo Incarnato, che nel 2005 hanno fondato “Hogar Niño Dios”, una casa di accoglienza per bambini abbandonati o con gravi problemi mentali o fisici. Sia cristiani che musulmani.
I volontari qui però sono tutti cristiani, tra cui una ragazza che presto diventerà mia amica. Chiacchieriamo e scopro che sono anni che non vede il mare. I territori palestinesi non hanno accesso sul mare. Ma lei è cristiana e lavora per la Chiesa. Lei ha il premesso speciale per andare a Gerusalemme nei giorni delle festività cristiane, ma come Cenerentola ha il coprifuoco. Entro le 19 o, ma solo in rare festività maggiori, entro le 22 deve rientrare in Palestina.

Un tempo poteva stare dagli amici a Gerusalemme a dormire. Ora non può passare la notte fuori dalla Palestina. Ma non si può lamentare: lei almeno può passare attraverso il Muro. E quindi ci decidiamo e attraversiamo insieme il muro, con destinazione Gerusalemme, per i soldati. Destinazione mare, per noi.
Stavolta il passaggio è meno semplice: non sto più uscendo da Israele, ci sto entrando. Non sono più sola con il mio passaporto europeo. Sono con una ragazza con un passaporto palestinese. Che tra poco sarà clandestina.
Testo e foto di Valeria Lonati