Carlotta ha lasciato l’Italia per seguire un progetto di cooperazione nello Zambia. Con il suo consenso pubblicheremo su ALIBI le lettere che scrive agli amici per raccontare la sua esperienza. Questa è la prima.
Cari tutti,
approfitto della partita Zambia-Etiopia per scrivervi – qui sono malati di calcio, quindi sono tutti davanti alla TV, elettrodomestico presente anche nel bar più scassato del compound più disastrato. Nel frattempo sono ai fornelli e cucino, indovinate un po’, la crema di zucca: crescono gigantesche, ma non sanno bene cosa farsene, mangiano più che altro le foglie stufate e sbuccio manghi, anche questi extrasize, che in questo periodo dell’anno ti cascano sulla testa mentre cammini. Il tutto per un reggimento, perché in casa siamo attualmente 10: i responsabili dell’associazione con il loro figlio adottivo, ovviamente color cioccolato, e noi volontari più o meno specializzati, gelataio nutrizionista educatore tuttofare.
Abitiamo in una casa da film: mattoni rossi e vetrate, un corpo centrale dove si svolge la vita comunitaria e quattro strutture più piccole intorno, con camere e bagni, il tutto circondato da una vegetazione folta, brillante, alberi altissimi, campi di mais a perdita d’occhio, rigogliosi grazie alle piogge furibonde della stagione estiva. Sta arrivando un temporale anche ora; dopo una giornata di sole a picco il cielo si è coperto in un istante e l’orizzonte è livido. Questo non mi impedisce di essere in calzoncini e canottiera, ovviamente scalza – questo, unito al fatto che durante il giorno si mangia con le mani e si vive allo stato brado, ha fatto di me una coraggiosa selvaggia in poco più di una settimana: non mi scompongo per gli insetti e i rettili che girano per casa, mi tolgo le scarpe quando la strada diventa un fiume di fango, mangio caterpillar (larve secche superproteiche), mangio solo cose cotte, e sbuccio la frutta – anche perché esistono solo manghi e banane, e non bevo l’acqua del rubinetto mentre mi lavo i denti.
Ho perso il filo delle cose da dire, sono troppe, mi escono dagli occhi e dalle mani, figurarci metterle in una mail. Non so ancora rispondere alla domanda “ma cosa vai a fare?”, perché sto ancora visitando i moltissimi progetti educativi, formativi, professionali e assistenziali portati avanti dall’associazione. 
È una realtà complessa e sfaccettata, costruita in quasi trent’anni di attività sul territorio vastissimo di Ndola, che si regge sulla collaborazione con gli autoctoni e sul principio della rimozione delle cause. Spalanco gli occhi ogni giorno di più, colpita dalla bellezza e dalla disperazione che mi circondano.
Vi abbraccio, pensatemi. A presto per la puntata n. 2.
Carlotta