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Voi siete qui: Europa » Soggiorno di pace a Saint Honorat con Biamonti, Terzani e la Bibbia

26 Agosto 2011

Soggiorno di pace a Saint Honorat con Biamonti, Terzani e la Bibbia

Ritrovo nel taccuino un mio appunto di qualche anno fa: “Manca il silenzio. La pressione dei suoni molesti, aggressivi è angosciosa – soprattutto la televisione è insopportabile, la pubblicità ma anche altro. Un ritiro: può essere nel monastero sull’isola di Saint Honorat, quello del Vento largo di Biamonti. Lavanda, mare, canto gregoriano, spazio per i silenzi interiori. Al largo di Cannes”. Risale ad un pomeriggio in cui tentavo inutilmente di sfuggire all’ossessiva onnipresenza sonora di una invadente, prolissa e stomachevole trasmissione domenicale. Pochi giorni dopo mi era capitato di leggere alcune magnifiche pagine di Tiziano Terzani su un periodo di meditazione da lui trascorso alle falde dell’Himalaya. Così avevo preso la decisione e mi ero attivato per trovare il posto. Era stato più semplice del previsto: in una decina di minuti di ricerca su Internet, digitando “Lérins”, avevo individuato il sito dell’abbazia, avevo contattato il père hôtelier, avevo fissato il soggiorno per luglio…
Lerins_3
… Il giorno dell’arrivo, gironzolo per un’ora nel centro di Cannes, salendo e scendendo vicoli: la città tanto famosa non mi dice nulla. Poi, unico passeggero sul battello delle 16.30 che fila tra yacht smisurati, vedo avvicinarsi l’isola con curiosità crescente ma senza inquietudini. Attraverso a passi lenti, in una luce torrenziale, la stradina sterrata che procede tra macchia mediterranea e filari di vigna, arrivo all’altra riva; di fronte a una statua di Sant’Antonio, svolto a sinistra e vedo comparire, dietro la cortina di vegetazione, una chiesetta in pietra, gli archi, la cupola, il campanile del monastero.

Mi accoglie fratello Pierre Marie. Mi accompagna alla mia cella, mi spiega in poche parole orari e regole, lasciandomi però intendere che non sono obbligato a far nulla che non mi senta. Alle 18.30 partecipo alla funzione dei Vespri: una sorpresa. La chiesa ottocentesca in pietra chiara è spoglia di ogni ornamento, tranne che per un crocifisso in legno sempre circondato da un fascio di luce e una statua della Madonna che viene illuminata solo quando, alla fine di Compieta, nell’addensante crepuscolo, i monaci intonano: “Salve Regina, mater misericordiae…”. Cantano e salmodiano con una melodia elementare e spoglia, un tenue andamento musicale che allunga certe sillabe tra il fumigare dell’incenso e gli inchini periodici del “Gloria al Padre”. La salmodia è esile, sottile, tende a elevarsi, a salire per leggerezza e incorporeità; forse potrebbe renderne l’idea il trascrivere le parole, per esempio di questo Salmo 126, in delicato corsivo (“Si le Seigneur ne bâtit la maison, les bâtisseurs travaillent en vain”), rispetto al maiuscolo roboante e amplificato che si può ascoltare in certe chiese spagnole sovraccariche di ori e di immagini (“SI EL SEÑOR NO CONSTRUYE LA CASA, EN VANO SE CANSAN LOS CONSTRUCTORES!!”). Corrisponde alla slanciata semplicità del tempio: il fedele che sillaba l’inno si sente portato pian piano verso l’alto, non schiacciato a terra dalla potenza del suono e delle figurazioni.
Lerins_2
I pasti si prendono nel refettorio degli ospiti, su tavoli di nudo legno scuro, sedendo su panche. Non si comunica se non sottovoce e con singole parole, ma il fondo sonoro non è il silenzio o il solo rumore di stoviglie: dapprima una voce legge brani sulla storia del monachesimo, poi una musica densa, a basso volume (brani classici, da Beethoven ad Albinoni, o canti gregoriani) subentra a sollevarti sulle sue ali, diventando essa stessa una forma di orazione. I piccoli gesti con cui ci si servono reciprocamente i cibi, semplici ma ben equilibrati, o ci si versa l’un l’altro da bere, le frasi di ringraziamento pronunciate all’inizio e alla fine del pasto, il lavorare tutti assieme per rigovernare o riapparecchiare sono, nella loro elementarità, grandi lezioni di vita, perché ci ricordano che mangiare regolarmente è, nel mondo, un privilegio negato alla maggioranza, non una routine. La sobrietà e l’impegno dei pasti comuni riavvicinano all’essenzialità – e all’essenza – dell’alimentazione; costituiscono una disciplina che sottrae alla quotidianità del “tutto pronto” o “tutto fatto” e ripropone ritmi più umani, in cui anche questi atti ancestrali recuperano un tempo e uno spazio non insidiati dalla fretta che ora sta alle spalle di ogni cosa.

All’indomani, il laboratorio di discussione sui Salmi, in cui ci spiegano che il timor di Dio non va confuso con la paura, che genera la guerra, ma è da considerare una forma di amicizia fiduciosa col Signore: ecco perché, ad esempio, in questi versi l’uomo si rivolge a Dio con l’imperativo, il più “forte” e confidenziale del modi del verbo. Quindi la messa, pervasa dalla lentezza e dalla vibrante tensione emotiva di un rito bizantino. I monaci entrano con incedere cadenzato; i primi due sostengono lunghi ceri, segue il crocifisso e quindi il grosso tomo dei vangeli sorretto in alto, mentre l’incensiere dondola e fuma. L’intera liturgia, comprese le letture, è salmodiata o cantata in coro su tre tonalità diverse per ogni unità ritmica, e scorre fra i fedeli come un fremito comune. Anche l’offertorio ricorda quello ortodosso, con le due lente file di frati che avanzano reggendo il grande contenitore delle ostie e le coppe del vino, cantando tutti, fino all’altare, le parole rituali.

Alle 12.30 la funzione di Sesta, introdotta da un canto sullo splendore del giorno “che inonda la terra piena della gloria di Dio” e chiusa dalla toccante litania del Kyrie eleison, intonata “per tutti coloro che soffrono e penano, per i fratelli assenti, defunti e malati, e per la pace del mondo intero”.
Alle 14.30 la funzione di Nona e il suo invito “al Signore affinché ci conduca, aldilà di questo giorno troppo breve, nell’immortalità della sua gloria”.
Poi ancora i Vespri e, dopo cena, Compieta, che chiude le fatiche quotidiane con una serie di canti (i cui intrecci vocali rammentano persino gli spirituals negri, invitando “l’Altissimo a proteggerci durante le ore della notte”) e con l’acqua santa spruzzata dall’Abate, a mezzo di un ramoscello, sui monaci e sui fedeli, mentre questi chinano il capo nel ricevere le gocce della benedizione.
Marco Grassano

Le foto sono tratte da Wikipedia

Didascalia:
– La chiesa abbaziale e il monastero dell’abbazia di Lérins
– Vista panoramica del monastero di Lérins dalla fortezza

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