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Voi siete qui: Mondo » Thousand Islands, l’arcipelago che evoca lo spirito indiano

9 Settembre 2009

Thousand Islands, l’arcipelago che evoca lo spirito indiano

“I millepiedi – recita un vecchio adagio – sono il più classico esempio della pigrizia dell’uomo, che non ha avuto la pazienza di contare fino a 340”. Anche i miriapodi più dotati, infatti, arrivano a non più di 170 paia di zampette. Solo che giungere al termine della conta è abbastanza gravoso. Un discorso analogo si potrebbe avanzare a proposito delle Thousand Islands nordamericane. L’unica differenza è che, nel caso specifico, la fretta ha spinto il matematico di turno ad arrotondare i calcoli per difetto. D’altro lato, in questo frangente l’addizione era sicuramente complicata, tanto che si sono dovuti preventivamente concordare alcuni criteri generali. Si è ad esempio stabilito che ogni isola da inserire nella somma doveva rimanere sopra il pelo dell’acqua per tutti i 365 giorni dell’anno, superare almeno i 900 centimetri quadrati ed essere in grado di reggere almeno un albero o un cespuglio. In conclusione, le unità che soddisfano ognuna delle condizioni prefissate arrivano oggi alla cifra ufficiale di 1865.
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Certo, alcuni esemplari vantano dimensioni ragguardevoli. Wolfe Island, la più grande, è lunga 29 chilometri e larga 9. Le persone residenti arrivano a 1200 e possono anche triplicare nelle stagioni più calde. Ha la chiesa del Sacro Cuore di Maria, un’industria di formaggi, ristoranti, gallerie d’arte e campi da golf. La seconda in graduatoria, ossia Howe Insland, raggiunge una lunghezza di 13 chilometri e una larghezza di 5. Il grosso dell’arcipelago, comunque, è costituito anche da semplici spuntoni di roccia e da lembi capaci di alloggiare qualche arbusto o al massimo un minuscolo cottage. Ed è in mezzo a un dedalo così intricato che passa il confine tra Canada e Stati Uniti stabilito nel 1793. Partendo dall’accordo che nessuna lingua di terreno deve essere spaccata in due, è saltata fuori una linea di demarcazione che distribuisce ai due Paesi press’a poco la stessa superficie ma che in compenso è tutto un zigzagare. Le guide segnalano situazioni paradossali, per non dire incredibili. C’è una famigliola che possiede una casupola e una dependance erette su due isolette vicine e collegate da un ponticello. Ebbene, la frontiera passa proprio dove c’è la passerella. Per cui, quando il marito litiga con la moglie, sbatte la porta e si dirige verso l’edificio accessorio esclamando: “Non ne posso proprio più e vado a vivere in un altro stato!”. E meno male che, durante il brevissimo tragitto per espatriare, non è costretto a mostrare il passaporto o a subire una perquisizione dei doganieri.
La visita della zona parte da Kingston, posta sulla costa orientale dell’Ontario. La città ha un glorioso passato, tanto che nel 1812 diviene la base della marina reale e nel 1841 è designata capitale della colonia britannica delle Province Unite canadesi. Nel 1844, però, considerata troppo esposta agli attacchi nemici, perde l’ambito ruolo a favore di Toronto e poi di Montreal e infine di Ottawa. Basta comunque scrutare la maestosa sede municipale, firmata dall’architetto Gorge Browne, per capire d’essere in un’urbe dai fastosi trascorsi.
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Non meno monumentale appare il Royal military college, anche se sorto soltanto nel 1877. Di qui si parte lungo il San Lorenzo su imbarcazioni a due ordini gestite da diverse società. E pensare che, fino a non molti decenni or sono, per poter compiere un’escursione del genere occorreva chiedere un passaggio di fortuna a chi provvedeva alla distribuzione della corrispondenza. Anzi, sarebbe stato proprio un postino dotato di fiuto per gli affari a iniziare l’attività turistica con la compagnia Gananoque.
L’itinerario completo si esaurisce a Brockville, dopo un percorso di quasi 40 miglia. Ma basta poco per cogliere l’assoluta singolarità del luogo. Il letto del fiume, in alcuni tratti, si allarga al punto che sembra d’essere in alto mare. Ai lati si snodano scorci panoramici difficili da descrivere ma anche da dimenticare.
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Non si può dire d’avere davanti agli occhi una natura incontaminata, perché si vedono le scie lasciate dai motoscafi e dai gommoni, lo sventolio delle bandiere nazionali issate in ogni angolo, le colorate torrette dei fari. Eppure si avverte come la sensazione d’essere in un mondo altro, quello abitato da tempo immemorabile e fino al Seicento dalle tribù Iroquesi degli Onondaga, dei Mohawks, degli Oneida, dei Seneca e dei Cayuga. Stanziati su entrambi gli argini, abitavano nelle loro “longhouses” fatte di pali biforcuti conficcati in modo da formare un tetto arcuato e ricoperto di cortecce. Vivevano coltivando mais, fagioli e zucche, che chiamavano le tre sorelle. Praticavano la caccia e la pesca, affumicando le prede in eccesso per le provviste invernali. Si spostavano su piroghe e costruivano con incredibile abilità canestri e stuoie. A conferma dei capillari insediamenti esistono una quarantina di siti archeologici, che secondo alcuni etnologi risalirebbe a 7 mila anni or sono.
Prima parte – segue

Testo di Lorenzo Iseppi
Foto di Roberto Armando

 

Didascalie:

  • La sede municipale di Kingston, sorta nel 1844
  • L’imbarcazione a due ordini che trasporta i turisti
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