Dodicesima puntata del reportage di Laura Baldo sull’Iran.
Per la prossima tappa sono altrettanto impaziente. Appena fuori dalla periferia di Yazd si trovano due Torri del silenzio, o dakhma, ben conservate.
Le Torri venivano usate un tempo, fino agli anni Settanta — quando il loro uso fu proibito dal governo — come luogo di sepoltura dei fedeli zoroastriani. In realtà più che un vero e proprio luogo di sepoltura era il luogo dove si tenevano i funerali e si lasciavano i morti esposti affinché le loro ossa fossero spolpate dagli uccelli. Dopodiché le ossa venivano seppellite.

Sembra una cosa un po’ macabra per certi versi, ma riflette invece una filosofia molto bella: gli zoroastriani pensavano che gli uccelli — tutti gli esseri alati sono simboli e messaggeri del divino, perché collegano il cielo e la terra — avrebbero portato l’anima dei defunti con loro in cielo, mentre la loro carne li avrebbe nutriti, mantenendo vitale il ciclo della natura. Se ci si pensa su, ha più senso della nostra usanza di mettere i morti sotto terra.
Ad ogni modo, il posto è davvero bello e suggestivo, non ha nulla della tristezza di un cimitero. Anche se non sono più in uso, le due colline con delle ampie mura rotonde in cima, che le fanno assomigliare a dei castelli, sono ben conservate, così come le case di fango nella vasta spianata ai loro piedi. Queste ultime, come ci viene spiegato, servivano ai parenti per fermarsi a dormire prima di tornare in città. Un tempo infatti la città vera e propria, di cui ora si vede all’orizzonte la periferia, doveva essere molto più lontana.
La salita alle torri è uno dei momenti più emozionanti. Il posto è vasto e silenzioso, il sole intenso temperato da una leggera brezza. Il cielo blu sembra tanto vicino da poterlo sfiorare. Di certo qui si respira il sacro più che in uno dei nostri cimiteri. Mi fermo a metà strada, dove c’è una piccola terrazza, per ammirare il paesaggio circostante e fare qualche foto.

La salita finisce davanti a una manciata di gradini che danno accesso a una porta sormontata da un arco di pietra. Ai lati sono incisi dei simboli, tra cui riconosco un serpente a forma di S, e delle parole in farsi, è difficile però dire quali siano lì da prima e quali siano graffiti fatti dai visitatori in seguito. L’interno a essere sinceri mi lascia un po’ delusa: c’è un unico spazio circolare contornato dalle mura, con al centro una buca, neanche tanto grande, potrebbe contenere forse due o tre persone. Mi chiedo come facessero se ne morivano magari tante tutte insieme.
Qui le torri sono solo due, anche se ne abbiamo vista un’altra ieri e di certo ce ne sono altre sparse per il paese. La mia delusione comunque deriva dal fatto che a parte la buca non c’è niente da vedere, forse mi aspettavo qualche bassorilievo, o qualche oggetto rituale, o qualcosa che faccia comprendere come avveniva la sepoltura. Rimango lì poco e poi torno a scendere.
Meybod
Lasciare Yazd mi mette un po’ di malinconia, avrei voluto fermarmi qui un po’ di più. La prossima tappa è una gita fuori programma che Alì ci ha proposto. La città si chiama Meybod e, proprio come Yazd, il suo centro storico è composto di mattoni crudi e torri del vento, molto bello.
Noi siamo qui per visitare un monumento in particolare: l’antica cittadella di Narin Qal’eh. Sempre in mattoni crudi color argilla, assomiglia a un enorme castello di sabbia un po’ crollato, soprattutto per le torri merlate rotonde.

Non c’è granché da vedere all’interno, ma è un bel posto ed è proprio come diventare minuscoli e poter visitare un castello di sabbia. La vista dalla terrazza in cima però è magnifica: abbraccia la città intorno a 360°, in lontananza si vedono case moderne, e spiccano le cupole e i minareti delle moschee, ma ai piedi della cittadella il paesaggio è diviso in modo quasi geometrico da muretti scrostati che delimitano piccoli giardini, il cui verde intenso contrasta in modo piacevole col color sabbia dei muri.
Probabilmente sono frutteti, forse melograni, anche se qui e là spunta qualche palma. Scopro solo in seguito che in Iran ci sono altre cittadelle simili a questa, la più famosa è Bam, che però si trova nel sud-est vicino a Kerman, zona che rimane fuori dal nostro circuito.
Pranzo nel caravanserraglio
Dopo la visita ci spostiamo lì vicino, dove c’è un vecchio caravanserraglio restaurato. Lungo i lati del cortile interno, dentro le varie arcate, ci sono dei negozietti di artigianato, molto colorati e pittoreschi, con le merci all’esterno e tende di batuffoli di lana colorati all’ingresso.

Vendono soprattutto borse di cuoio o di lana, quadri, ceramiche. Alcune cose sembrano belle, ma non ci fermiamo a guardare e proseguiamo verso l’arcata che dà accesso al ristorante.
Un altro ristorante tipico, con nicchie rialzate alle pareti per mangiare seduti sui tappeti. Qui alcune sono occupate da gente del posto che mangia, ma noi come al solito veniamo messi a una lunga tavolata normale. Tra le specialità ci sono le quaglie, che però non hanno molta carne, quindi mangio ben poco. Per fortuna come sempre c’è il buffet di verdure e cose fredde.
Dopo il pranzo attraversiamo la strada per vedere un’antica cisterna del ghiaccio, o yakhchal, dove ci viene spiegato come d’inverno recuperassero il ghiaccio dalla vasca apposita davanti all’edificio per poi tagliarlo in blocchi e portarlo giù nella cisterna. È una sorta di largo pozzo, con una cupola sopra, sempre costruito in mattoni crudi. Pare fosse un sistema diffuso nei tempi antichi nelle città vicine al deserto, ed è molto interessante.
La moschea di Na’in
Dopo un altro breve tragitto in pullman arriviamo a Na’in, la città più vicina al deserto.

Qui c’è una delle moschee più antiche del paese, del X secolo, molto bella e particolare anche se un po’ rovinata. È tutta in mattoni color sabbia, con un bellissimo pulpito in legno originale.

Finite le visite, Alì ci chiede se vogliamo fermarci a prendere un gelato lì vicino. Qualcuno si accerta che non sia come quello di Shiraz prima di accettare. La gelateria assomiglia alle altre che abbiamo visto. Qui non si usano molto i tavolini fuori, c’è solo una vetrina, e oltre a gelati vendono bibite e patatine. Anche qui solo fior di latte, ma non è male.
Arrivo a Isfahan
La strada tra Na’in e Isfahan costeggia il deserto e il paesaggio è suggestivo, anche se le foto non vengono molto, perché andiamo veloci. La stanchezza della giornata di viaggio comincia a farsi sentire e quando arriviamo a Isfahan il mio entusiasmo è molto scemato.
La prima impressione della città non fa che deprimermi ancora di più: edifici moderni, strade caotiche, il sole è tramontato quindi si vede molto poco. Non c’è una bella luce qui, come a Yazd, forse perché è filtrata dallo smog.

L’Hotel Setare, nonostante il nome suggestivo di “Stella”, non mi piace già da fuori, non ha niente di speciale. La stanza è ancora peggio: anonima e ingombra di mobili inutili, ha una finestra minuscola in alto sulla parete, tipo una cella. Salendo su una sedia per guardare fuori vedo un terrazzino di servizio con dei tubi dell’aria condizionata e un parcheggio. Il bagno è piccolo e perde acqua. Non il massimo come primo impatto.
Il ristorante è all’aperto in terrazza. Sarebbe molto bello, se oltre all’aria fresca della sera ci fosse la vista sulla città, invece intorno ci sono pareti di vetro e nicchie per mangiare, quindi non si può affacciarsi e non si vede niente. Vado a letto presto, sperando che domani la città sappia farmi cambiare impressione.
Laura Baldo
Dodicesima puntata – segue.
Di Laura Baldo è appena uscito da Alcheringa Edizioni il romanzo giallo “La salvatrice di libri orfani”.
Didascalie:
- Una delle Torri del silenzio e il villaggio per gli ospiti
- Le belle volte incrociate delle costruzioni del villaggio
- Scorcio di una torre
- Vista di Meybod dalla cittadella Narin Qal’eh
- I negozi di artigianato nel caravanserraglio di Meybod
- Moschea del venerdì a Na’in
- Antico pulpito della moschea
- Il deserto tra Na’in e Isfahan