Undicesima puntata del reportage di Laura Baldo sull’Iran.
Usciti dalla Moschea del Venerdì, prendiamo un altro vicolo, che si addentra dall’altra parte del centro di Yazd. Il sole sta tramontando, il color argilla della città si accende di riflessi più caldi, così come il cielo sfuma in un celeste sempre più chiaro. Su tutto aleggia un’atmosfera da città incantata, quasi mistica.
È come se Yazd avesse un contatto con la terra e col cielo che alla maggior parte delle città manca. È un luogo pieno di spiritualità, che invita alla pace, al silenzio. Viene quasi spontaneo parlare a bassa voce.
Percorrendo le stradine contorte, arriviamo in uno slargo dove c’è una sorta di parco giochi, tutto archi, scale e rientranze. Un gruppo di ragazze sta facendo una foto su una larga scala che sembra là proprio a questo scopo, visto che non arriva da nessuna parte.
Al centro di alcune piazzette vediamo delle strane costruzioni di legno e giunchi con dei pali sotto e Alì ci spiega che si chiamano palme, ogni quartiere ha la sua e durante la festa religiosa annuale dell’Ashura vengono portate a braccia in processione (il rito si chiama nakhgardâni).
Lungo le facciate noto diversi portoni antichi che hanno i due batacchi di metallo diversi tra loro, uno di forma arrotondata e uno cilindrico. Pare che le loro forme suggerissero a chi erano destinati: quello tondo per le donne e l’altro per gli uomini. Oltre alla forma è diverso anche il suono, così i padroni di casa potevano sapere in anticipo se a bussare era un uomo o una donna.
Piazza Amir Chakhmaq
Torniamo verso la moschea, che alla luce fioca è ancora più affascinante, e imbocchiamo la lunga via pedonale fiancheggiata da negozi che conduce alla piazza con la torre dell’orologio. Da lì svoltiamo su una via moderna e trafficata e procediamo veloci verso la piazza che è forse il simbolo di Yazd: piazza Amir Chakhmaq, con il suo grandioso complesso architettonico ad archi sovrapposti. La facciata ospitava un tempo una moschea, ma ora sembra che ci siano delle attività commerciali e poco altro. In ogni caso noi la vediamo solo da fuori.
La piazza in sé è enorme e bellissima, con una distesa di fiori viola e bianchi, una grande vasca d’acqua e quattro lettere metalliche alte un paio di metri che compongono la scritta YAZD. La facciata, con le sue nicchie ad arco perfettamente simmetriche e i due alti minareti al centro, è contornata da due ali di archi vuoti, costruiti di recente, che servono a delimitare la zona della piazza. All’ultima luce è ancora più suggestiva; accanto ai minareti si vede già la luna crescente.
Il tempo di fare qualche foto e cominciano ad accendersi delle luci arancioni sui minareti e all’interno delle nicchie, facendola sembrare incredibilmente ancora più magica.
Una cena senza velo
Ritorniamo in hotel a passo veloce. Nel frattempo le altre moschee si sono illuminate di una luce blu elettrico, che è un po’ kitsch per i miei gusti.
Abbiamo solo un quarto d’ora prima della cena, ma io riesco a fare la doccia, e avanzo anche cinque minuti per una sigaretta, seduta sul gradino fuori dalla stanza, coi piedi scalzi a contatto con le mattonelle ruvide e scaldate dal sole. Anche il pavimento della stanza è di mattonelle grezze, ed è un piacere camminare scalzi.
La grande sala della cena è illuminata e rinfrescata dall’aria esterna attraverso la tenda e da un condizionatore portatile un po’ vecchiotto, oltre che dalla grande fontana alle nostre spalle. Dal momento che per ora siamo solo noi — molti qui cenano dopo le 21 — Alì ci comunica che possiamo togliere il velo.
Mi accorgo tra lo sconcertato e il divertito che fatico a riconoscere le altre senza velo. La cena è molto piacevole, un po’ per il posto bellissimo, un po’ perché quella di potersi togliere il velo è una gentilezza (che nessun altro hotel o ristorante ha mai fatto), e ci fa sentire in qualche modo a casa, tra amici.
Dopo cena usciamo in un piccolo gruppetto. Arriviamo fino alla moschea, poi ci dividiamo. Ci accordiamo per ritrovarci tra mezz’ora e mi affanno a cercare negozi di vestiti e foulard. Però non ne trovo che mi piacciono, e sono tutti sintetici. Yazd è famosa per la seta, ma forse bisogna cercare nei negozi nella città nuova o in quelli di artigianato, che ora sono chiusi. Altra cosa per cui è famosa è la pasticceria — per me è una sorta di paese delle meraviglie — ma i negozi che ho visto erano lontani e c’è poco tempo. Davvero un peccato non fermarsi di più, o anche non venire a viverci.
Dolat Abad
Il mattino dopo lasciamo con rammarico l’hotel. La prima tappa è un giardino qui vicino, il Dolat Abad, che come il centro storico di Yazd è protetto dall’UNESCO.
Anche qui pareti d’argilla, torri del vento e fontane, ai lati frutteti di melograno, cedri e viti. Al centro c’è una splendida residenza, con la torre del vento più alta dell’Iran, ancora in funzione.
Si può entrare ad ammirare le volte a crociera, le splendide vetrate colorate e il funzionamento di una torre del vento dal basso. Da sotto si vede solo una vasca incassata nel pavimento (la cisterna per l’acqua) e una sorta di ruota di legno sul soffitto, attraverso i cui raggi arriva l’aria da sopra.
Delle ripide scale portano al piano superiore, dove ci sono dei balconcini da cui si possono fare foto del giardino intorno. C’è una vasca davvero lunghissima, peccato solo che l’acqua è verde sporco anziché azzurra. Accanto alla residenza, all’ombra degli alberi, ci sono dei divani rivestiti di tappeti e cuscini. Un posto molto bello, ma come al solito siamo di fretta.
Il Tempio del Fuoco zoroastriano
La prossima tappa è per me una delle più attese del viaggio e sono molto emozionata: il Tempio del Fuoco zoroastriano (o Atash Behram). Questo è il tempio più famoso, anche se ce ne sono di più piccoli in altre città. Yazd è infatti il principale centro di culto zoroastriano in Iran. Fin dai tempi dell’invasione araba molti di coloro che scelsero di restare fedeli alla propria religione si riunirono qui, e tutt’oggi ci vive una piccola comunità zoroastriana.
L’edificio in sé è piuttosto recente, della metà del Novecento, ma nelle sue linee semplici ed essenziali è molto bello. Si entra in un cortile con una vasca rotonda, ora purtroppo vuota, contornato di cipressi e giardini, e di fronte c’è la facciata del tempio, con una breve scalinata, un portico colonnato nel centro e il simbolo del faravahar sopra.
A differenza di quelli incisi sui bassorilievi, questo è dipinto di un bell’azzurro vivace. Intorno ha tre targhette di ceramica, con i tre cardini della fede zoroastriana: buon pensiero, buone parole, buone azioni.
Nel tempio c’è una sorta di anticamera con un vetro. Avevo già letto che il tempio interno, dove c’è la grande urna col sacro fuoco — che brucia ininterrottamente da 1500 anni — è visibile per i visitatori solo dal vetro.
Quello che non mi aspettavo è che la fiamma non si vede proprio. Salta fuori che la ravvivano solo ogni tanto, forse in cerimonie particolari, altrimenti ci sono solo le braci, che essendo in fondo all’urna non si vedono.
Sono abbastanza delusa per questa cosa, perché senti “sacro fuoco” e immagini le fiamme, magari speri anche in una qualche illuminazione spirituale… invece niente.
Usciamo dal tempio per entrare nel museo a fianco, forse più interessante, perché ci sono poster e ricostruzioni di varie cerimonie zoroastriane, come l’iniziazione — che ricorda molto la nostra prima comunione, coi bambini vestiti di bianco — o il matrimonio.
Ci sono anche immagini di Zarathustra, che assomigliano in modo incredibile, ma non poi così tanto, a quelle di Gesù. Abbiamo ancora un po’ di tempo libero, così ne approfitto per farmi fare una foto davanti al tempio. La foto viene molto bella, sarà la luce, o il sorriso.
Laura Baldo
Undicesima puntata – segue.
Di Laura Baldo è appena uscito da Alcheringa Edizioni il romanzo giallo “La salvatrice di libri orfani”.
Didascalie:
- Yazd, parco pubblico
- Una “palma”, e alcuni mucchi di mattoni e sabbia per riparare i muri al bisogno
- Vecchio portone su cui si notano i due batacchi differenti, per uomini e donne
- Piazza Amir Chakhmaq
- Scorcio del giardino Dolat Abad
- Tempio del Fuoco
- Museo del tempio, ricostruzione di un matrimonio zoroastriano