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Voi siete qui: Europa » Viaggio in Frisia tra Cees Nooteboom e Mata Hari

22 Ottobre 2022

Viaggio in Frisia tra Cees Nooteboom e Mata Hari

Undicesima puntata del viaggio di Marco Grassano in Frisia.

Vogliamo prendere il traghetto delle 16.30. Torniamo al punto dove avevamo colto le more. Da qui svoltiamo nel tratto di pista selciata che va a Sud, e poi, verso sinistra, in una rédola di conchiglie (“Sul sentiero di conchiglie l’amico di un tempo“, poesia 26) che punta, serpeggiando, al faro bianco. Un piccolo cespo di erba viperina. Il bivio con lo Swartedunenpaad, che non possiamo permetterci di visitare. Tutt’intorno, ondulazioni ammantate dapprima di graminacee mature, poi di arbusti rigonfi.

Una spiaggia sull'Isola dei Monaci Grigi in Frisia

In prossimità del faro, ritroviamo i camminamenti lastricati. Casupole fra le pieghe del suolo, ancora come in Hopper (per esempio, l’acquerello Dune and shacks). Ci immettiamo in un rione recente, ampiamente verde e assai ordinato. Una chiesetta dal cipiglio luterano. In fondo alla via, dobbiamo svoltare a sinistra, per ritrovarci in uno spazio più attempato e ricco di offerte gastronomiche. Dobbiamo poi prendere a destra. Una minuscola libreria (leggono anche, in questo paesello di 800 abitanti!) esibisce, di fronte, un banchetto per l’usato.

Usciamo dal borgo lungo un altro viale in pavé. Sulla destra, pascoli, alberi e capannoni seminascosti. Di fronte, una striscia di canne, altri prati e, in fondo, il terrapieno perimetrale. Seguiamo l’andamento della strada fino a incrociare il tratto percorso per entrare in paese. Qui imbocchiamo la carraia che va verso l’argine, lo raggiungiamo e lo scavalchiamo su un passaggio in autobloccanti.

Un’area paludosa prelude a una darsena irta di alberature. Altre imbarcazioni fuori dal porticciolo, arenate sui fondali che la bassa marea ha fatto emergere. Il cielo, fino a poc’anzi quasi tutto azzurro, si è chiuso in una volta marmorizzata di nuvole cineree. Nooteboom lo descrive meglio: “Nubi di zinco, casematte d’acqua, grigie, / vaganti alla luce del pomeriggio, rumore d’onde…“. Dal lato acqua, una scogliera protegge il sedime stradale. Passano gruppi di ciclisti, molti di lingua inglese.

Sulla superficie limosa che si estende verso la terraferma, da entrambe le parti dell’istmo, non si vedono gabbiani. Forse la suddivisione dei territori o dei periodi di attività la assegna, qui e in questo momento, ad altre specie avicole: sterne (o rondini di mare), folaghe, alzavole, svassi, avocette, evocate anche dal poeta…

In motonave, cerchiamo e leggiamo qualche notizia aggiuntiva riguardante l’isola. È stata l’ultimo lembo d’Europa in cui, nel 1945, i tedeschi si sono arresi: l’11 giugno, per la precisione. I “monaci grigi” da cui ha derivato il nome erano i cistercensi, che vi introdussero la pastorizia e vi importarono, dal Mediterraneo, l’ammofila, per consolidare i cumuli di sabbia. La laguna la si può attraversare anche a piedi, ovviamente seguendo uno specifico percorso, nei momenti adatti e con la necessaria attrezzatura.

L’autobus, malgrado il clima, ha l’aria condizionata a manetta. Invio una serie di accidenti mentali ai responsabili di ciò.

Per cena, vogliamo differenziare le sperimentazioni gastronomiche, mantenendoci però sempre sul lungocanale della libreria. Ecco che, nella fila dei ristoranti, scegliamo il Huize Kwast. La temperatura bassa ci fa propendere per l’interno del locale. Tavoli di legno scuro. Poltroncine imbottite, in similpelle verdina. Non ci discostiamo dai piatti vegani, che peraltro non deludono mai – come pure le immancabili, gustosissime patatine fritte, servite “di default”.

Camminare soltanto, senza usare le scomodissime biciclette, oggi non ci ha per niente affaticati. Vagabondiamo quindi per un po’ lungo il tratto dirimpettaio di naviglio. Sul secondo dei ponti-piazzetta che lo ricoprono, la svolazzante statua in bronzo di Mata Hari, mitica danzatrice e spia doppiogiochista, nata a pochi metri di distanza.

Leeuwarden: statua di Mata Hari

Prima della Farmacia Centrale, ci affacciamo su un vicolo angusto, dai muri scrostati e dall’ammattonato sconnesso e sporco, che inquadra l’abside e l’acuminatissimo campanile della nota “kirkona” di San Giacomo, detta familiarmente Grote Kerk.

Proseguiamo. Esploriamo una via sulla sinistra, ampia e con l’arredo rifatto da poco. Fra le due carreggiate, alberelli ancor giovani, plinti metallici di demarcazione, parcheggi a lisca di pesce, colonnine erogatrici per i biglietti.

Per tornare verso ovest, svoltiamo fra due ali di case che, in questa parte del centro, paiono fatte con lo stampo. Ci ritroviamo nei giardinetti di costa a San Giacomo. Ripercorriamo all’inverso la Grote Kerkstraat: che, a questo punto, sarebbe da intendersi, inequivocabilmente, come “strada della grande chiesa”, se solo ci fosse anche una “piccola chiesa” a giustificare l’intitolazione speculare della convergente Kleine kerkstraat. Quell’ipotetico tempietto, però, non esiste. Il mio dubbio – amletico – rimane.

Svoltiamo al primo incrocio. Verso la fine del vicolo, poco prima del viale dietro casa nostra, si differenzia dal fronte monotono degli edifici una palazzina grigia, con un alto zoccolo di piastrelle – pure grigie – che ingloba la foto e la breve scheda biografica del Dr. Vitus Bruisma. Altra personalità leeuwardese – certo, meno universalmente nota.

Marco Grassano

Undicesima parte. Segue

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