Anno 56 a.C.
Il terzo libro della Guerra gallica di Giulio Cesare si apre con le operazioni di Servio Galba, mandato da Cesare con la Dodicesima Legione a svernare tra i Veragri.
I Galli decidono di riprendere le ostilità, pensando di sfruttare l’occasione della momentanea debolezza della posizione romana. Galba temporeggia e convoca il consiglio di guerra. Viene presa la decisione di aspettare gli avvenimenti e intanto difendere il campo. Ma i nemici piombano dall’alto delle loro postazioni e sembrano avere la meglio sui legionari che però, grazie a una sortita, riescono a ribaltare l’esito dello scontro. Dei trentamila Galli che hanno partecipato all’assalto un terzo viene massacrato. Gli altri si arrendono. Tuttavia Galba preferisce riportare la legione nella Provincia per svernare in sicurezza.
La guerra contro i Veneti
Cesare era partito per l’Illirico quando scoppiò la guerra in Gallia. A provocarla fu la decisione di alcune tribù galliche – tra cui i Veneti che abitavano l’attuale Normandia – di arrestare tribuni e prefetti romani, con l’idea di scambiarli con gli ostaggi che avevano consegnato a prova della loro fedeltà.
Cesare ordina la costruzione di imbarcazioni per la navigazione sul fiume Loira e raggiunge l’esercito. I Veneti contano sulle difficoltà che i Romani incontreranno in un’area a loro poco famigliare e sulla propria abilità nella navigazione sull’oceano. Fanno lega con altre popolazioni galliche e chiedono rinforzi anche alla Britannia.
D’altra parte Cesare non può lasciar correre il loro comportamento: sarebbe un cattivo esempio per le altre popolazioni già sottomesse. Così comincia a prendere le sue contromosse e per prima cosa disloca le forze di cui dispone, assegnando a Tito Labieno, Publio Crasso, Titurio Sabino e Decimo Bruto il giovane la rispettiva missione.
Segue una breve digressione sulla conformazione delle imbarcazioni dei Veneti e sui loro vantaggi rispetto a quelle romane. Tuttavia nella battaglia navale i Romani hanno la meglio perché, una volta abbattute le antenne, le navi dei Veneti sono impossibilitate a manovrare e ai Romani non resta altro da fare che andare all’arrembaggio.
Questa battaglia pone fine alla guerra contro i Veneti e le popolazioni della regione costiera. I superstiti si arrendono, ma Cesare questa volta calca la mano per mandare un messaggio forte: fa uccidere i capi e vendere all’asta gli altri.
Titurio Sabino e Publio Crasso
L’attenzione si sposta ora sulla contrapposizione tra i Venelli e le truppe di Titurio Sabino, acquartierato nel suo accampamento con le forze nemiche posizionate a poca distanza, sempre più attive. Sabino vuol far credere loro di aver paura e istruisce un Gallo perché si finga disertore e inganni i Venelli con informazioni false. Loro ci cascano per vari motivi, non ultimo perché “gli uomini credono volentieri ciò che desiderano”. L’attacco contro l’accampamento è un fiasco totale che si conclude con pesanti perdite per i Venelli.
Intanto Publio Crasso era giunto in Aquitania, consapevole di dover essere prudente viste le precedenti sconfitte romane in questa regione della Gallia. Penetra nel territorio dei Soziati e viene da loro assalito. La battaglia è accanita, finché i Romani volgono in fuga i nemici che si asserragliano nella loro piazzaforte.
I legionari iniziano le manovre d’assedio e i Soziati, vista la malaparata, preferiscono arrendersi. Adiatunno con seicento fedelissimi tenta una disperata sortita, ma viene bloccato. Riesce però a rientrare nei patti di resa.
Crasso procede la spedizione contro le terre dei Vocati e dei Tarusati che chiedono l’aiuto dei vicini popoli della Spagna citeriore. Il comandante romano decide di attaccare battaglia già l’indomani, per evitare che i nemici si riuniscano contro le sue truppe. I nemici temporeggiano, mentre i Romani escono dall’accampamento e con una mossa a sorpresa li assalgono, circondandoli da ogni parte. Si salva soltanto un quarto dei cinquantamila convenuti dall’Aquitania e dalla Cantabria. La maggior parte delle tribù offre la resa a Crasso.
Nel frattempo Morini e Menapi adottano contro Cesare la tattica della guerriglia, con attacchi fulminei e fughe nelle selve. Cesare risponde con il disboscamento a tappeto, finché all’approssimarsi dell’inverno non conduce l’esercito a svernare nelle terre degli Aulerci, dei Lessovii e di altre popolazioni.
Saul Stucchi
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