Il teatro è la mia vita è il titolo-confessione del nuovo libro di Luca Radaelli, pubblicato da Cinquesensi Editore (fa seguito alla raccolta poetica Non danzo più sotto la pioggia, uscita da Polyhistor nel 2019).
Che sia un romanzo familiare lo esplicita il sottotitolo, ma il lettore si aspetti un romanzo à la Carrère piuttosto che un racconto di fantasia. È tutto documentato e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi della vita dell’attore e regista e di quella dei genitori e dei nonni. A cominciare da quel Giuseppe Milani, per gli amici Pino, che di vite, in realtà ne visse ben tre, nella prima delle quali fondò, insieme a un gruppo di ragazzi, la Società dilettanti Filodrammatici di Lecco. Era il 1912 e lui aveva diciotto anni (la maggiore età, ricordiamolo, fu abbassata a questa soglia soltanto nel 1975).
Il nonno paterno, Ambrogio, era invece pianista, mentre la nonna Giuseppina recitava nella compagnia che venne ad affiancare la prima Filodrammatica già nell’anno seguente alla sua fondazione. La vivacità della provincia è ben nota a Radaelli e in questo memoir ne sottolinea la profondità delle radici. Vivacità e tenuta del tessuto, un «atavico patto di sangue» che lega in una società anche persone che non si conoscono direttamente. Ma oggi anche la provincia si sfalda e non trovano più posto in calendario quei pranzi tra cugini che vedevano alla stessa tavola decine di persone.
Nell’amarcord di Radaelli c’è posto per l’appello scolastico, dalla A di Amici alla Z di Zelada, ma l’elenco che sciorina con più piacere – come fosse una formazione di calcio – è quello dei tagli di carne (pur venendo da una famiglia di furmagiàt, ovvero produttori di formaggio)!
Di capitolo in capitolo, nell’alternanza di parenti, l’autore racconta della propria famiglia e insieme rievoca la storia d’Italia, prima savoiarda e fascista, poi repubblicana e democristiana. Le leggi e i referendum su divorzio e aborto, la trasformazione di Roma (con le telline – il suo piatto preferito di quando era bambino – a fare le veci delle lucciole di Pasolini e le pesche sciroppate in quelle della madeleine proustiana) e dell’intero Paese.
Rimanendo in tema gastronomico, uno dei ricordi più cari del padre Alberto è quando offrì a Luca, per festeggiarne il ventitreesimo compleanno, una colazione con ostriche e cozze crude a Casablanca. En passant: condivido con Luca la «nostalgia mediterranea» che colpisce molti di noi lombardi, eredi di una «mentalità calvinista, educati al culto del lavoro e dell’ordine, votati alla razionalità e alla sobrietà».
Il rapporto col padre, tra assenza e rivalutazione, è uno dei nodi del romanzo. Il genitore era davvero un personaggio, viene da pensare leggendo quanto ne scrive Luca. Globetrotter quando erano ancora una striminzita minoranza quelli che avevano fatto l’esperienza del volo (i miei suoceri, ottantacinque primavere, non sono mai saliti su un aereo, per dire), riportava dai suoi viaggi souvenir ma soprattutto racconti (quella volta che dormì nella camera accanto a quella di Paul Newman…), con i quali poi trasformava il vagone del treno su cui andava a Milano in un palcoscenico. Ecco spiegato l’amore di Luca per la geografia che emerge, tra gli altri, nello spettacolo su Walter Bonatti.
Manzoni, genius loci del lecchese (e non solo, ovvio), compare qua e là tra le pagine. E, come sopra, contribuisce a render conto della concezione che ha Radaelli del teatro come impegno e testimonianza, così come è esercizio di memoria questo libro. «Forse questa mia raccolta è un po’ anche il tentativo, nel mio piccolo, di tenere acceso un lume, di dare volto alle ultime generazioni, a una fetta di storia e di geografia sul viale del tramonto», scrive a pag. 55.
Allo stesso modo il racconto dell’epidemia asiatica sul finire degli anni Cinquanta non può che far pensare alla peste di manzoniana memoria (rimando alla recensione dello spettacolo su La colonna infame) e insieme alla recente tragedia del Coronavirus.
L’Abbondio menzionato nell’ultima parte, invece, non è il pavido don, quanto un mitico funzionario di una banca di Lugano. Vi lascio scoprire il suo ruolo. Qui accenno al tesoro conservato in una scatola di scarpe. Niente gioielli e lingotti, ma qualcosa di molto più prezioso: lettere! Sono le tessere con cui Luca ricompone il mosaico della storia familiare.
Un altro nucleo tematico è il rapporto con la madre, Maria Luisa (Marisa), una delle prime donne laureate in Italia. A pagina 84 la vediamo ritratta in una foto – diverse sono quelle che arricchiscono il libro – che la mostra in treno con una mappa di Parigi squadernata davanti a sé. Le piaceva ballare, eppure Luca fu sorpreso quando la vide impegnata in uno swing al termine di una sua (di lui) festa di compleanno. Marisa aveva allora novantaquattro anni.
C’è ancora molto altro nelle pagine de Il teatro è la mia vita: molta vita, come l’insospettata carica erotica che scorreva tra i suoi genitori (le disavventure dell’omonimo zio Luca richiederebbero un’altra recensione), e molto teatro. Arriva solo verso la fine il veloce accenno alla fondazione di Teatro Invito, nel 1986. Tra parentesi: dal 30 agosto all’8 settembre si terrà l’edizione 2024 de L’ultima luna d’estate.
Non dev’essere stato facile mettere insieme questi ricordi di famiglia e dargli la forma che leggiamo con piacere e interesse. Né tanto meno confessare di avere un brutto carattere. Luca impiega 202 pagine per riconoscerlo. Il libro si chiude due pagine dopo. 🙂
Saul Stucchi
Luca Radaelli
Il teatro è la mia vita
Cinquesensi Editore
Collana d’A
2024, 208 pagine
15 €