“Amo Napoli perché è la parte più viva d’Italia”. Così lo scrittore Daniele Del Giudice (che nello splendido “Mania” inserì un racconto, “Fuga”, dal nome dell’architetto responsabile fra le altre cose del Cimitero del Popolo a Poggioreale).
Una città che però i propri riti fondativi li nasconde negli inferi – questa l’idea centrale del saggio “Napoli sepolta” (Meltemi) dell’etnologo Ulrich Van Loyen, studioso tedesco che vive per qualche tempo nel ventre della città, il Rione Sanità, e ne studia la grammatica antropologica, andando alla ricerca dei suoi riti cultuali fra chiese, ipogei, necropoli, cripte, catacombe.
Considerando Napoli nella sua interezza, il repertorio di riti legati alla morte, al culto dei morti, è esteso, spesso noto (talvolta frainteso) anche ai turisti, che sanno delle “Anime del Purgatorio” in via dei Tribunali, o della chiesa di Maria Santissima del Carmine o della chiesa di San Pietro ad Aram e altre meraviglie più o meno funebri – ma già con le Fontanelle ci pensa uno dei tanti interlocutori che Van Loyen incrocia (casualmente o deliberatamente) a metterlo in guardia: si tratta di non cedere alle suggestioni sul fin troppo facile folklore napoletano a uso degli avventori muniti di smartphone e Google Maps.
Il rapporto di alcuni settori della popolazione – per lo più socialmente sofferenti e marginali, – con la dimensione oltremondana, lo slittamento fra un regno dei vivi e dei morti, la comunicazione dei secondi con i primi anche per avvicinare soluzioni immediate al teatro della vita quotidiana è faccenda che Van Loyen affronta con la lucidità necessaria al ruolo di uno studioso.
Van Loyen, che alla Sanità s’imbatte nelle cappellette in cui fra le fiamme anime inquiete invocano una preghiera per loro, mostra come l’intreccio fra i riti legati ai resti dei defunti e il concreto mondo della vita quotidiana, dei drammi sociali di una realtà difficilissima sia assai concreto ma non perciò stesso pacifico: autorità ecclesiastiche e comunità di fedeli non è detto che condividano i quadri concettuali – e le possibili ricadute empiriche – di certe esperienze, i sacerdoti talvolta debbono mediare, come nel caso delle veggenti che parlano con i morti e radunano adepti i cui propositi possono confliggere con le strutture ecclesiastiche (i preti peraltro non di rado ne invidiano le doti speciali).
Quello per Van Loyen è anche uno spazio con cui si gioca una partita di riscatto sociale delle donne. Nella chiesa di San Pietro ad Aram, là dove inizia il cristianesimo napoletano, si svolgono “gli esorcismi di massa di liberazione e guarigione, controversi dal punto di vista pastorale e teologico”.
Ciò che per gli estranei al culto è segno di misericordia, per gli adepti è frutto della provvidenza: i morti, più vicini a Dio, prevedono le cose. Nel campo d’azione di una simile città è evidente la latitanza dello Stato e l’emersione di forme, sistemi organizzativi eccentrici che sopperiscono alla sua assenza – com’è del resto con i “protettori” della criminalità organizzata. Anche loro trafficano fra ossari ed edicole votive.
Van Loyen non si ferma alla Sanità ma arriva sino al centro storico di Secondigliano. Nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano nella cui cripta sono murati i teschi e le ossa si scorgono dai vetri, gli oranti la grazia la chiedono non ai propri cari ma alle anime anonime.
E a Secondigliano, nell’immaginario collettivo tutta focalizzata sul recente passato criminale, priva del fascino storico della Sanità, si rende invece ancora più evidente l’assenza dello Stato e l’aspetto utilitaristico delle cerimonie di queste esperienze “religiose”, implicando non solo gli immaginabilissimi temi del lavoro, della fortuna, della salute: sui muri, intorno alle vetrine dei teschi, ci sono anche richieste sentimentali, di coppie che chiedono di rimanere insieme per sempre.
C’è sempre la convinzione che le anime dei defunti siano in qualche modo purificate e dunque motrici di azioni buone: “le anime sono amici, parenti ideali che possono ‘veramente’ capirci e a cui perciò si va a fare visita”. Attraverso il culto e i teschi, le catacombe e le liturgie oscure, si creano nuove famiglie, si ipostatizzano nuovi antenati che riannodano fili di esistenze altrimenti sfibrate e sfilacciate dai cataclismi di uno Stato assente e in cui l’anarchia è la norma. E il tempo diventa quello, sospeso, del Purgatorio.
Il diario, i veri appunti in fieri sul lavoro, il libro finale sono corredati da foto e cospicua bibliografia.
Michele Lupo
Ulrich Van Loyen
Napoli sepolta – Viaggio nei riti di fondazione di una città
Meltemi
2020, 375 pagine
24 €