Una città della Cina in cui “dal cielo scendeva una cenere nera” – con immagini di questo tipo si avvia il romanzo La strada di fango giallo, appena tradotto per Utopia Editore, impegnato nella divulgazione in Italia dell’opera dell’autrice Can Xue, pseudonimo di Deng Xiaohua, scrittrice cinese già candidata al Nobel e data addirittura per probabile vincitrice nell’edizione del 2023 (la traduttrice è Maria Rita Masci).
Quella cenere “sembrava immondizia, era salata, simile alle pillole sulfamidiche”. L’anno non è chiaro, almeno per alcuni dei viventi (a volte già zombie) che popolano la zona, e lo scenario di fondo, che diremmo il cuore del romanzo, cambia continuamente ma soggiace perlopiù ai termini compresi nel titolo: un fango giallo in cui è involta l’intera vita-non-vita di un quartiere periferico di una grande città, una sineddoche della Cina forse prossima ventura o fuori dal tempo, perché il tempo stesso non è scandito secondo modalità del tutto riconoscibili. Come accade nei sogni, o sarebbe meglio dire negli incubi.
Per Can Xue si è soliti evocare l’avanguardia o la scrittura sperimentale (come se peraltro non sapessimo da almeno mezzo secolo che non sono la stessa cosa) ma almeno per questo libro le formule potrebbero sembrare approssimative.
Siamo nei pressi, piuttosto, di qualcosa che potremmo definire una distopia al cubo: come se al genere gli si tirasse il collo per vedere cosa resta alla disciplina del narrare (al confronto lo straniamento de La strada di Cormac McCarthy offrirebbe qualche elemento consolatorio in più, non per l’esito degli avvenimenti ma per ciò che rimane al lettore in termini di affidabilità del percepito).
Se appare il sole è una roba come questa: “Fluttuava come un tuorlo in una schiuma giallo chiaro” che in sé non è necessariamente un’immagine catastrofica, se non fosse che subito dopo il testo prosegue così: “Le piccole case erano immerse nell’acqua, simili a scarafaggi neri”.
Dunque, la macchina rovinosa dell’entropia è certa, tutto il resto è talmente allucinato che ci si può solo perdere nel racconto intriso di immagini e voci scongelate, mutevoli (diremmo facilmente oniriche se non fosse che non sembra esserci iato fra l’ordinarietà della veglia e l’incubo dei dormienti, come in un’apocalisse surrealista).
Il lettore è gettato in un mondo le cui forme si disfano in continuazione, tutto si trasforma, si discioglie, come le vite di uomini e donne cui sembrano scoppiare i crani per la pressione dell’aria e il terrore di precipitare ogni giorno che passa in una melma fatale.
Non resta loro che dormire e soffrire il meno possibile, specie gli abitanti della strada di fango giallo si rifugiano nei sogni per poi raccontarseli, ma ne vivono altri, al risveglio, in uno spazio-tempo liminale e fatto di angoscia per i corpi che imputridiscono assieme ai residui vegetali e alla spaccatura di fondali, strade, architetture.
In questo quadro sfatto e marcescente compare un ulteriore spazio cavato in quello particolare della strada: la fabbrica di macchinari S. Ora è dismessa, gli abitanti si raccontano che vi si producevano palle d’acciaio, il cui scopo era ignoto. Quella fabbrica forse era la chiave di qualcosa? Di quello che poi è accaduto? C’entrano “le alte sfere?”, si domandano.
Nella storia della fabbrica – e dunque della lenta catastrofe cui pare destinata quella parte di mondo, potrebbero avere un ruolo centrale, anche se incomprensibile nelle intenzioni, le autorità governative. Forse la città si trova davanti a una serie di tappe del movimento rivoluzionario? Oppure qualcuno in alto ha ordito un complotto? La fabbrica mostra solo acque nere e dense come olio, in cui galleggiano “scarti e scorie di ferro”.
Neanche quella in giro si può più bere, chi lo ha fatto ne ha pagato le conseguenze (“Un liquido fetido spurgava dalle ulcere che alcuni vecchi quasi centenari avevano sulle gambe, i pantaloni arrotolati esponevano quella carne viva alla vista di chi passava davanti a casa loro”). Si susseguono pestilenze e metamorfosi di qualsiasi entità materiale, e, stranianti, talora intimidatori comunicati del Partito.
Danno di matto anche gli altri animali, cani che fanno a pezzi maiali, per esempio, insetti e altre bestie che fuoriescono dagli anfratti delle strade e invadono le case, un incubo dilatato e anamorfico cui a un certo punto potrebbe porre rimedio un’apparizione, Wang Ziguang, la chiamano così, se non fosse che non sono nemmeno certi che sia un umano, nessuno può dirlo, se invece non sia un altro sogno o qualcosa che dal brutto sogno li risvegli.
Quel che emerge in questo libro estremo, nella rappresentazione forse un po’ troppo programmatica di un mondo allo sfacelo, è però la scrittura di Can Xue: se il lettore accetta di stare al gioco, viene immerso in un enorme schermo le cui sollecitazioni sensoriali non lasciano fuori nulla, visioni suoni colori, un continuum avvolgente di cui puoi sentire pure i lezzi e gli afrori – una scrittura che ha l’ambizione di un’arte totale. Sperimentale? Se segue o anticipa il destino della specie, post-umana.
Michele Lupo
Can Xue
La strada di fango giallo
Utopia Editore
Collana Letteraria Straniera
2024, 176 pagine
18 €