Fino a qualche settimana fa, se mi avessero chiesto a bruciapelo di Jean Vigo, avrei risposto donabbondianamente: chi era costui? Di Giovanni Cocco, poi, non avevo mai sentito parlare. Devo alla cortesia di Fabrizio Coscia, direttore della collana S-Confini di Editoriale Scientifica, di aver colmato – almeno in parte – queste due lacune (una goccia nello sterminato oceano della mia ignoranza, sia chiaro).
Lo ringrazio qui per avermi proposto la lettura di Una grazia sconosciuta di Cocco, autore – ho poi appreso – di diversi libri e coautore, insieme ad Amneris Magella della fortunata serie di romanzi che ha per protagonista il commissario di polizia Stefania Valenti.
Al di là della cura editoriale – il librino è proprio un bell’oggetto che fa piacere tenere tra le mani – a colpire è l’originale mescolamento, quando non sovrapposizione, tra le vicende biografiche e professionali del regista francese Jean Vigo (morto ad appena 29 anni nel 1934) e dello stesso Cocco. I problemi, gli ostacoli e le sconfitte del primo sono rievocati in abbinamento a quelli dell’autore e, più in generale, ai tragici fatti che hanno insanguinato la Francia negli ultimi anni (il libro si apre con l’attentato a Nizza del 2016 che provocò 86 morti).
L’antica passione per Vigo – una vera e propria ossessione durata oltre un quarto di secolo – diventa nella mente di Cocco il progetto di una «biografia romanzata» la cui elaborazione viene via via raccontata dallo stesso (e se posso esprimere un parere personale, questa è una delle parti più interessanti di Una grazia sconosciuta perché consente al lettore di curiosare nella sala di montaggio dello scrittore).
Facciamo la conoscenza della compagna Costanza che presto darà alla luce Federico, così come scopriamo i dettagli della storia d’amore di Jean con Lydou. I due s’incontrarono in un sanatorio nel 1926. In automatico la mia mente ha subito fatto un collegamento con il romanzo La montagna magica – o incantata che dir si voglia – di Thomas Mann e infatti eccolo citato, come una delle letture preferite della coppia (chissà che Cocco non dedichi un prossimo libro proprio a quel capolavoro di Zauberberg: nel caso, per quel che posso, sono a disposizione…).
Come Lydou prima e dopo la nascita di Luce, così Costanza deve averne mandate giù non poche per star dietro ai progetti del compagno, tutto preso dalla sua opera. Scrive Cocco: «Volevo vedere, toccare con mano, respirare quel clima [di Nizza, ndr]. Ma era una cosa intima, privata, del tutto personale, e necessitava di tempo, concentrazione, dedizione assoluta. Dovevo farlo da solo. Perché nelle cose importanti della vita si è sempre soli, come se la solitudine fosse la sola condizione di libertà possibile.»
Una dedizione assoluta che richiede metodo e sacrifici, tra interruzioni, le cose della vita – come il lavoro, da custode al tribunale di Lecco a insegnante, senza mai rinunciare alla scrittura – e la famiglia. Non che manchino i dubbi su risultato e accoglienza dell’opera a cui sta mettendo mano. «Anche se sai da subito che non interesserà a nessuno», lo provoca a un certo punto Costanza. Ma a quel che vedo dalle recensioni – a cui si aggiunge, modestamente, questa che state leggendo – la critica sta apprezzando il libro.
Una grazia sconosciuta si realizza mentre lo leggiamo. Lo vediamo crescere e irrobustirsi pagina dopo pagina. Il lavoro va organizzato e servono sopralluoghi per sciogliere i punti oscuri nella biografia di Vigo. I pochi titoli della sua filmografia – da À propos de Nice a L’Atalante, il suo unico lungometraggio (recensito dal critico di ALIBI nel 2016 e a cui Fabrizio Coscia dedica una pagina nel suo I sentieri delle ninfe. Nei dintorni del discorso amoroso, pubblicato da Exòrma Edizioni nel 2019), passando per Taris, roi de l’eau e Zéro de conduite – ci sono presentati non solo con la competenza del cinefilo, ma soprattutto con la passione dell’innamorato.
Al culto del padre di Jean – quell’enigmatico Almereyda finito con le stringhe delle scarpe attorno al collo – corrisponde quello di Giovanni per il regista, soggetto totalizzante. Nell’avversione per il microcosmo del collegio di Vigo si specchia l’inferno scolastico di Cocco (ma l’autore si avvia alla chiusura del libro anteponendo il ruolo di insegnante a quello di scrittore) e lui stesso riconosce di essere coinvolto in un gioco di sovrapposizione quando immagina il piccolo Federico alle prese con i problemi dell’infanzia da incubo di Jean. Alla debolezza fisica dell’uno, corrisponde la depressione dell’altro.
«Il problema dei soldi, innanzitutto, e poi la mancata realizzazione professionale, una prospettiva soddisfacente e rassicurante, avevano completamente sommerso le altre urgenze» è una frase che ben si adatta a entrambi.
Fondamentali, per la vita e la carriera del regista, alcuni incontri: con Boris Kaufman (componente della sgangherata bande à Vigo), con il produttore Jacques-Louis Nounez, con il musicista Maurice Jaubert; ma di passaggio incrociamo anche Chaplin – in quello che fu un incontro deludente per Vigo – e Simenon.
E poi c’è spazio per i fiaschi di Vigo e per le centomila copie vendute in carriera da Cocco; per le critiche e le incomprensioni ma anche per il segno lasciato su generazioni di registi; per un provvidenziale intervento che scongiurò all’ultimo la morte per avvelenamento durante la lavorazione a un film sul tennis che poi non si fece; per le crisi di coppia (di entrambe le coppie); per la nascita del secondo figlio, Riccardo; per la prematura scomparsa di Jean e i tentativi di suicidio di Lydou e per tanto altro.
Il tutto con passione, sempre.
Saul Stucchi
Giovanni Cocco
Una grazia sconosciuta
Editoriale Scientifica
Collana S-Confini
2024, 206 pagine
15 €