Il geranio e altre storie di Flannery O’Connor (traduzione di Gaja Cenciarelli, minimum fax) è un libro -antologia che permette di avvicinarsi alla prosa dell’autrice americana, compresi alcuni testi mai pubblicati. Flannery O’ Connor è una voce originale tra gli scrittori del Sud degli Stati Uniti, difficilmente avvicinabile alle scuole estetiche a lei contemporanee o conterranee, come il Southern gothic (di cui fa parte Faulkner), o la School of Southern degeneracy (di Capote e di McCullers).
La O’Connor descrive il Sud come un mondo fatto “di ciò che rimane”. C’è il ricordo di un passato mitico (quello delle piantagioni, della ricchezza e dell’abbondanza) spazzato via dalla Guerra Civile. E dalla Depressione. La O’Connor racconta per lo più di emarginati, di persone che non possono che arrangiarsi e vivere vite precarie. I personaggi che sceglie di raccontare sono emarginati, vecchi, falliti, persone leggermente fuori di testa, e rappresentano un mondo che è in crisi. Non sa se torneranno tempi migliori.
E per questo o vive pensando alla Gloriosa Confederazione, o cerca nella religione un conforto. Il Messia che questi uomini cercano non ha a che fare con Cristo. Il conforto viene dalla rivelazione portata da profeti che si rivelano nella maggior parte dei casi fasulli. Ogni personaggio è ossessionato da Dio come è ossessionato dal bisogno di trovare un’identità. Cosa siamo noi oggi dopo aver perso la Guerra di Secessione? Sembra domandarsi in modo più o meno chiaro ognuno dei personaggi della raccolta.
È l’identità e il passato quello che affronta Dudley, il protagonista de Il geranio. Fissare il fiore preferito, «gli ricordava il ragazzo Grisby a casa che aveva la poliomielite e doveva essere portato fuori ogni mattina e lasciato al sole a ammiccare».
L’uomo desidera il servitore nero con cui andava a pescare. La figlia è vista con risentimento, la città come una trappola. Dudley è diverso da quella figlia che vive bene accanto ai neri, un fatto che Dudley non può accettare: nel Sud sono due mondi separati, nati dopo la Guerra di Secessione. Spesso l’autrice americana rappresenta gli anziani come deboli ma desiderosi, indifesi ma ansiosi di mettersi alla prova. (Cosa che accade a Gabriel, protagonista de Il gatto selvatico, che, invece, affronta qualcosa di più grande di lui: la sua fine).
Di identità si parla anche ne Il barbiere. Rayber, il protagonista, non riesce a trovare se stesso, né ad affermarsi. «Non sono né un negro né un amante dei bianchi», è un progressista. Questo lo costringe a riflettere con amarezza con la frase «ti piacerebbe che un paio di facce nere ti guardassero dal fondo della tua classe?».
Con Enoch Emery ‒ che compare anche in storie come Enoch e il Gorilla, Il centro del parco, Il pelapatate ‒ lo sguardo dell’autrice affronta l’esterno: ciò che circonda i luoghi chiusi dei primi racconti. Racconta il Sud. Fatto di gente bizzarra, di derelitti e beoni, di fanatici della Bibbia, di cultori del mostruoso nel quale ritrovano parte di se stessi.
Cosa questa che accade a Enoch che tenta di apparire più forte e più intelligente di quanto non sia in realtà, quando ha «l’opportunità di insultare una scimmia di successo è venuta dalla mano della provvidenza». E quando si accorge che il gorilla è uomo mascherato da gorilla, decide di affrontare la “bestia” e vendicarsi.
Enoch è il giovane inesperto, l’adolescente che pretende di sapere tutto (in uno dei racconti sbircia le donne dai cespugli, sputa sugli animali in gabbia e frequenta i bordelli ogni volta che può). Enoch non crescerà mai e per questo viene considerato uno stupido, tanto da ritenere che al centro del parco, in cui lavora, ci sia un segreto che debba essere condiviso e diffuso alle masse e allo stesso tempo tenuto segreto. Ma chi può prendere sul serio Enoch?
Enoch è scioccato nel vedere apparire la sua vecchia nemesi: Haze. Haze è l’uomo che Enoch si sforzava di impressionare, nel racconto Il pelapatate. Ma Haze non vuole saperne di lui. Lo evita e non può considerarlo uno con cui fare amicizia. Ne Il centro del parco Enoch scivola letteralmente nell’auto di Haze e fa di lui il destinatario della verità segreta del parco. Enoch finge di avere l’indirizzo del cieco, che Haze vuole consultare, perché, come si racconta ne Il pelapatate, è un mezzo profeta. Così i due si ritrovano a vagare per il parco.
La O’Connor descrive un mondo in cui le persone si perdono facilmente. Un mondo in cui si è alla ricerca di valori e si finisce per prendere degli “abbagli” e per essere ancora più smarriti. Spesso sono persone nate e vissute tra l’onesta gente di campagna che popola i dintorni della città.
Da qui la costante presenza di sedicenti profeti e falsi predicatori, epifanie che prendono anche il singolo (come Haze o Enoch) che non hanno altro ruolo se non quello di confermare la confusione di coloro che la O’Connor stessa ha definito, altrove, come “mezzi ciechi”, facilmente rintracciabili tra la brava gente di campagna che popola i suoi testi, per i quali si sentiva in dovere di tracciare segni ingigantiti, capaci di scuotere la coscienza.
Alla O’Connor il merito di aver saputo rappresentare il Sud degli Stati Uniti come un insieme di sacro e profano, di materialismo e spiritualismo, in cui la realtà appare sempre costituita da una serie di strati che contiene tante e diverse verità.
Claudio Cherin
Flannery O’Connor
Il geranio e altre storie
Traduzione di Gaja Cenciarelli
minimum fax
2023, 234 pagine
17 €