Anticipavo qualche tempo fa, in occasione della recensione del libro “Il mare degli dei” di Giulio Guidorizzi e Silvia Romani, la probabile imminente uscita di un nuovo volume della golosa non-collana (appunto “fuori collana”) di Raffaello Cortina Editore.
Esce giusto oggi nelle librerie “Eggs Benedict a Manhattan” di Gian Piero Piretto e ha per sottotitolo “Ricette metropolitane di un professore poco ordinario”. Ieri al festival Scrittori in città a Cuneo c’è stata la prima presentazione, cui seguiranno in questo weekend un paio di incontri a Milano per BookCity 2021, antipasti di quello che – ne sono certo – sarà un ricco menu.

Condividere a tavola
Per continuare ad abusare della metafora, devo confessare che ho divorato il saporito libro del prof. Piretto, gustandomi ogni pagina. È diviso in cinque capitoli, così intitolati:
- Infanzia piemontese
- Gli affollati Settanta
- Gli edonistici Ottanta
- Gli sconclusionati Novanta
- I tecnologici Duemila
Incorpora sessanta ricette che accompagnano un’autobiografia gastronomica fuori dal comune, una raccolta “faziosa e settoriale, non razionale né sistematica”, ma di sicuro effetto sui lettori, ai quali l’autore non intende insegnare, quanto piuttosto condividere con loro il piacere della tavola.
Diciamolo subito: non sono ricette per pavidi e animi scipiti. Qui dominano i sapori forti e impera l’aglio, ingrediente assente quasi soltanto nella prima ricetta (il croccante di nocciole) e in poche altre (contando anche i drink). Piretto confessa due soli limiti personali: odia i cetrioli e non ama il caffè (ahilui…).
“Eggs Benedict a Manhattan” (a proposito, la ricetta del titolo la trovate a pagina 138) è una sorta di Bildungsroman in salsa sovietica (o salsa di soia Kabul’), in cui l’autore ripercorre le tappe della propria vita e carriera accademica, da studente a professore a pensionato, ma anche quella radiofonica ai microfoni di Radio Popolare, squadernando davanti a noi ricordi e aneddoti, scoperte e innamoramenti culinari, senza tralasciare la passione per il teatro.

Galeotto fu proprio il teatro per il mio incontro con il professore. Correva l’anno 2010 e al Teatro Litta di Milano andava in scena lo spettacolo “Ascolta! Parla Leningrado… Leningrado suona”, scritto e diretto da Sergio Ferrentino, con cui Piretto collaborava come consulente storico.
Cucine del mondo
Le città che ha visitato gli sono sempre servite come porte d’accesso alle cucine di tutto il mondo, non solo a quella del paese in cui soggiornava. In tutte (tranne che a Istanbul, la sua ultima – in ordine di scoperta – città del cuore) ha cucinato per sé e per gli amici.
Gli amici sono i commensali, ma anche uno degli ingredienti fondamentali della vita del professore “poco ordinario” (anche quando era di ruolo). Piretto ha avuto la fortuna di incontrare insegnanti, professori, intellettuali culturalmente aperti e disponibili allo scambio di esperienze, da veri maestri. Il lettore troverà il ritratto di personalità uniche come Nina Kaucisvili, Anna Vladimorovna Abramovič (Anna Vladi per gli amici) e Olga Matich.
Dire che la lettura del libro mette appetito è riduttivo. Dalle pagine si sprigionano profumi e fragranze (ah, il pane sovietico appena uscito dal forno!), ma anche meno invitanti olezzi e puzze. In principio fu l’odore di bruciacchiato del pollame strinato dalla nonna sul piano di marmo del tavolo.
E poi l’inebriante effluvio dei tigli in fiore a Torino; il caratteristico odore della metropolitana di Londra (anzi, di una tratta ben specifica: indovinate quale?); il tanfo mefitico delle toilette della biblioteca Lenin a Mosca; l’olezzante splendore – il libro è un’ode alla sinestesia – che emanava la ballerina Majja Plisetskaja ricoperta di olio di canfora; i profumi di cannella e vaniglia, “vera colonna olfattiva” di San Francisco, mentre New Orleans è pervasa dai profumi delle spezie creole.
Fino a pochi anni fa il cielo sopra Berlino “odorava ancora di carbone” “e il profumo (non ecologico ma delizioso) d’antracite colmava l’aria”. Se volete sapere cos’è il famigerato “odore di Russia”, andate a pagina 62, ma soltanto se promettete di recuperare poi le pagine precedenti.
Note d’autore
Pur sui generis, “Eggs Benedict a Manhattan” è – almeno in parte – un ricettario tradizionale. Ciascuna ricetta, infatti, è presentata con una fotografia, la lista degli ingredienti e le indicazioni per l’esecuzione. Mi raccomando: sono tutte da leggere, non solo perché sono strettamente connesse con il testo, ma anche perché contengono piccole perle. In quelle righe Piretto amalgama consigli, note, esperienze di personalizzazione, purismi e varianti, concessioni a qualche “contaminazione geo-culturale in nome della qualità” mescolate a severi anatemi: “Guai a chi cede alla tentazione di ammollare l’aglio nel latte” preparando la Bagna Càuda, manna per il popolo piemontese.

Parte da Nizza Monferrato il giro del mondo di Gian Piero Piretto: Torino, Bergamo e Milano; l’URSS, dove per la prima vola arriva nel 1974 in un luglio particolarmente caldo da meritarsi una citazione dostoevskijana (pur se l’autore confessa di preferire la letteratura russa novecentesca a quella dell’Ottocento) e grazie alle lunghe e profondamente vissute permanenze gli viene riconosciuto che è più russo di un russo.
E poi Berlino, prima con esperienze da Cenerentola in bilico tra Est e Ovest e ora con la sensazione di essere un “emigrante sovietico”; Parigi, con omaggi a quel buongustaio di Maigret e ai passages amati dal flâneur Benjamin, vero nume tutelare di Piretto (basta leggere “Vagabondare a Berlino”); e poi gli USA, con la New York sovietica, San Francisco e l’università di Berkeley, dove batte il suo cuore di ricercatore. Nel capitolo sugli anni Settanta l’autore redige un vertiginoso elenco che ricorda un celeberrimo giro del mondo, di eco in eco, composto da Patrick Leigh Fermor.
Flâneur con la tessera
Nel vasto mondo là fuori Piretto ha vissuto (e tuttora vive) esperienze in prima persona, raccogliendo memorabilia (dischi, piatti, biglietti di concerti e spettacoli teatrali, ma anche un blocchetto di cartoline con i capolavori dell’Ermitage che strizza il cuore) e libri di cucina, ha osservato le scritte che compongono il testo della città, mangiato e preparato manicaretti.

Ovunque andasse (e vada) in poco tempo si è sentito il re della città, grazie al potere che gli regalavano (beh, per modo di dire, visto che li pagava) abbonamenti e tessere: di cui sul libro – dal ricco apparato iconografico (sia lode all’editore!) – è riprodotta apposita documentazione. “Chissà perché sulla tessera della STABI di Berlino è riportato come nome di battesimo “Gian-Pietro”, si è domandata l’editora di ALIBI, sfogliando il volume.
Buona parte del mondo rievocato da Piretto non c’è più. Non soltanto l’URSS e la Berlino divisa, ma anche la Bergamo Alta delle botteghe artigianali. Tira aria di appiattimento globalizzato. Allora, parafrasando le sorelle Ragusa di New York, “non resta che rifugiarsi in cucina”. Magari evitando di cominciare dal sanguinaccio “nonna morta”. Decisamente più facile e invitante la ricetta del mitico currywurst: da condividere con chi amate, proprio come il libro.
Saul Stucchi
Gian Piero Piretto
Eggs Benedict a Manhattan
Ricette metropolitane di un professore poco ordinario
Raffaello Cortina Editore
Fuori collana
2021, 248 pagine
19 €
Didascalie:
- Gustoso abbinamento in tema
- Una cena a casa del prof. Piretto
- Currywurst a Berlino (2017)