S’intitola Il citofono (tradotto da Raffaella Belletti per Voland), l’accattivante romanzo di Zygmunt Miłoszewski, una delle voci più interessanti della letteratura contemporanea polacca. Il romanzo racconta di un condominio, in un quartiere residenziale di Varsavia, dove cominciano ad accadere eventi strani.
La trama prende forma lentamente; diversi sono i personaggi che appaiono, tanto da far pensare che sia un romanzo corale. Un giornalista alcolizzato, una coppia di sposini, un fanatico religioso, genitori di provincia con un figlio ribelle e altri residenti si ritrovano improvvisamente in una situazione drammatica: qualcosa inizia a impedire alle persone di lasciare il condominio. Un corpo senza testa viene trovato nell’ascensore, voci insolite provenienti dal citofono s’insinuano nella vita apparentemente normale delle persone, che finiscono per assumere strani comportamenti.

Alcuni degli inquilini scompaiono uno dopo l’altro; gli sforzi per stabilire un contatto con l’ambiente esterno rimangono infruttuosi. Miłoszewski gioca abilmente con il lettore. C’è una critica sociale, ma anche profonda ironia (il finale ironico de Il citofono non lo si trova così facilmente).
Come ogni scrittore che si rispetti, anche Miłoszewski racconta la realtà, che sfugge da ogni parte. Il suo desiderio di realismo (un realismo esasperato alle volte) finisce per diventare qualcosa di allucinato e di allucinante. Arrivato alle prime cento pagine, il lettore del Il citofono si chiede se sia un romanzo giallo, un horror, una critica sociale, un romanzo fatto da personaggi chiusi nelle proprie esistenze logorate dal passato (tra tutti risalta Wiktor, il giornalista). Su questa ambiguità poggia l’idea dello scrittore. A ben pensarci è proprio su questo equilibrio (apparentemente precario) tra queste diverse categorie letterarie che si regge il romanzo, equilibrio ben padroneggiato dallo scrittore.
Questo passaggio tra vari generi diversi porta l’autore a essere qualcosa di più di uno scrittore di genere. Infatti, per Zygmunt Miłoszewski le psicologie e il passato dei personaggi si rivelano subito molto importanti. Ognuno dei cinque personaggi più importanti è ben definito: ha storie interessanti alle spalle, ha un tessuto emotivo con cui convive nel silenzio di quel parallelepipedo costruito con l’idea di aggregare ma che, alla fine, ha isolato e diviso gli inquilini, tormentati e imprigionati nei loro appartamenti. Anche se Stephen King domina tutto il libro, Miłoszewski riesce a creare qualcosa di originale, qualcosa di interessante su cui riflettere.
È proprio grazie a frasi secche, a un linguaggio preciso, alla psicologia dei personaggi e alla scomparsa improvvisa di alcuni di essi che lo scrittore non solo riesce costruire, lentamente, un’atmosfera d’inquietudine, ma anche a fare di quel realismo (tipico di molta letteratura polacca) una realtà allucinata, che avvicina il romanzo ad alcuni albi del migliore Dylan Dog.
Ad accentuare l’inquietudine è anche la scrittura di alcuni capitoli sotto forma di dialoghi – come si trattasse di uno spettacolo teatrale – e nei quali compaiono Uomo 1, Uomo 2, donna, ecc., personaggi che non danno semplicemente l’impressione che qualcuno li stia guardando, ma concorrono a dare al romanzo un’idea di estraneità e di allucinazione. Le persone che parlano perdono ogni fattezza umana per diventare voci, fantasmi evocati, presenze che vivono lì da sempre, pronte a colpire, destinate a fare qualcosa sicuramente contro qualcun altro.
Il nucleo dell’orrore nella storia risiede nel graduale cambiamento nel comportamento dei personaggi, come se fossero sotto l’influenza di una forza nascosta sotto gli strati del mondo reale. Nell’isolamento dei loro appartamenti, i personaggi si ritrovano dominati da questa forza che li porta a compiere atti crudeli alle volte solo immaginati altre volte spinti da una lucida allucinazione.
Il citofono ha rivelato un vero scrittore che sa creare aspettative, sa destreggiarsi nel e con il genere. Ma soprattutto fa dei suoi personaggi uomini e donne reali, che respirano e che hanno a che fare con i problemi noti a ogni persona.
Un aspetto interessante del libro è la dimensione letteraria: la citazione di apertura di Stephen King e i diversi riferimenti letterari, usati come graffiti sulle abitazioni, permettono al romanzo ora di affrontare con umorismo nero i fatti che racconta, ora di seguire la strada aperta da Mikhail Bulgakov, forse il vero padre letterario di Zygmunt Miłoszewski.
Claudio Cherin
Zygmunt Miłoszewski
Il citofono
Traduzione di Raffaella Belletti
Voland
Collezione Sírin
2022, 368 pagine
18 €