Non è tutto oro quel che luccica, nemmeno nella splendida mostra Più che oro. Lustro e visione del mondo nella Colombia indigena, allestita al Museo Rietberg di Zurigo in Svizzera. Inaugurata lo scorso marzo, si potrà visitare fino al 21 luglio 2024.
Molti dei pezzi esposti – in totale circa quattrocento – sono infatti realizzati in tumbaga, una lega di rame e oro. Lo è, per esempio, il pettorale con raffigurazioni di creature mitiche identificate come Serankua, il dio padre della religione indigena.
Ritrovato nella Sierra Nevada di Santa Marta, è uno degli oggetti prestati dal Museo dell’oro del Banco della Repubblica di Colombia, tra i principali organizzatori della mostra, insieme al Los Angeles County Museum of Art (LACMA) e al Museum of Fine Arts di Houston.
Ha partecipato anche la comunità indigena degli Arhuaco e lo stesso Museo Rietberg ha “pescato” nella propria collezione permanente – ricca di oltre ventimila pezzi, testimonianze di civiltà extraeuropee – alcuni oggetti, come il recipiente in forma di figura umana seduta che accoglie i visitatori all’inizio del percorso.
Questo si articola in sei sezioni tematiche e diversi altri approfondimenti, squadernando maschere mortuarie e urne funerarie, pettorali e figurine votive, ciotole, recipienti, ocarine in forma di uccelli e monili con il motivo della scimmia.
Non era la purezza del metallo a rendere questi oggetti preziosi alle comunità. Lo spiega uno dei testi di sala, disponibili in tedesco, francese e inglese (si possono scaricare direttamente sul proprio smartphone, inquadrando il codice QR). Trilingui anche le didascalie, in cui – per una scelta che non condividiamo – sono state omesse le datazioni degli oggetti.
Ma torniamo al concetto di preziosità. Nel pannello dedicato al valore dei materiali si legge che la lega tumbaga era “creata intenzionalmente per esprimere concetti fondamentali per la visione indigena del mondo come dualità e complementarità”.
Per quella visione avevano valore anche altri materiali come smeraldi e quarzo, conchiglie, piume di uccelli e tessuti, che non erano ricercati e posseduti come beni personali, bensì per mantenere l’equilibrio nell’universo. E il testo si chiude con questa sconsolata considerazione di un anziano Arhuaco: “Nella fretta di voler avere l’oro, [i conquistadores] finirono per distruggere il loro stesso fratello, etichettandolo come un selvaggio”. Queste parole non riportano alla memoria il virgiliano Auri sacra fames?
Un altro pannello spiega la nascita della leggenda di El Dorado che non era un luogo, una fiabesca città fatta d’oro invece che di pietra e legno, bensì un uomo ricoperto di polvere dorata che una barca conduceva al centro del lago di Guatavita, nel corso di una cerimonia.
La ricerca di El Dorado era il tema di un cartone animato che guardavo da ragazzino, Esteban e le misteriose città d’oro. A quel lontano ricordo pensavo nella visita di ieri, guidata dalla dottoressa Fernanda Ugalde, curatrice della sezione dell’arte americana antica del Rietberg, che più volte ha, giustamente, sottolineato il carattere speciale della mostra mentre la illustrava a un gruppo di giornalisti italiani. Riandavo anche a ricordi meno remoti, seppur ormai lontani, come le visite al Rietberg per precedenti esposizioni (sulla fauna dell’antico Egitto e sulla metropoli precolombiana di Teotihuacan).
L’allestimento di Più che oro è molto sobrio: sono i pezzi a brillare, letteralmente. Dalle prime teche fino a quelle che chiudono il percorso l’attenzione del visitatore è attirata da manufatti che testimoniano l’abilità di artigiani e artisti vissuti in questa vasta area geografica in epoca precolombiana e insieme ne raccontano il sistema di valori e di credenze.
Ezuama era uno spazio sacro dedicato allo scambio e alla comunicazione. Una sua rappresentazione simbolica è fornita da un modellino in ceramica, il primo pezzo che inaugura il percorso. Tunjos erano le figurine votive: una teca, in chiusura, ne contiene ben trentaquattro. Sono tra i pochi oggetti di provenienza nota, ovvero la municipalità di Suba, nei pressi della capitale Bogotà. Ancora misterioso, invece, il significato di questo gruppo che comprende figurine di animali, oggetti e persone, in particolare donne con bambini.
Cuore della mostra è uno spazio circolare in cui sedersi per riposare un poco e approfondire la pratica della meditazione secondo gli Arhuaco, tra citazioni e riproduzioni di maschere teatrali. Un’intera parete, invece, ospita i disegni dell’artista indigeno Confucio Hernández Makuritofe. Si tratta di una serie che raffigura il continuo mutamento di un albero nel susseguirsi delle stagioni e dei giorni.
Un video e diversi pezzi – come una statuetta in ceramica del Museo Rietberg – presentano il rapporto delle popolazioni sudamericane con la pianta della coca. È abitudine degli uomini Arhuaco scambiarsi manciate di foglie di coca al posto dell’a noi più familiare stretta di mano. Il testo di sala ci tiene a precisare che “masticata con polvere di lime ottenuta dalla combustione di conchiglie, ha un leggero effetto stimolante che aiuta la concentrazione e il pensiero, senza avere gli effetti altamente inebrianti della cocaina chimicamente raffinata”.
Di stupefacenti, qui, ci sono soltanto i tesori dell’antica Colombia.
Saul Stucchi
Didascalie:
- Pettorale con volto
Colombia, regione di Calima
Lega d’oro
The Museum of Fine Arts, Houston, donazione di Alfred C. Glassell, Jr. - Ciondolo a forma di uomo pipistrello con copricapo di uccello
Colombia, Sierra Nevada de Santa Marta
Museo del Oro – Banco de la República, Colombia
© Foto: Clark M. Rodríguez - Allestimento mostra Più che oro
Foto di Mark Niedermann © Museum Rietberg
Più che oro
Lustro e visione del mondo nella Colombia indigena
Informazioni sulla mostra
Dove
Museo RietbergGablerstrasse 15, Zurigo (Svizzera)
Quando
Dal 22 marzo al 21 luglio 2024Orari e prezzi
Orari: da martedì a domenica 10.00 – 17.00mercoledì 10.00 – 20.00
lunedì chiuso
Biglietti: intero 25 CHF; ridotto 20 CHF