Perché desta maggior indignazione l’uccisione di un leone dell’affogamento di decine di uomini, donne e bambini? Ipocrisia, cinismo, abitudine, razzismo? O tutti questi fattori, mescolati insieme, danno come letale pozione il veleno che quotidianamente ci viene somministrato, senza che nemmeno ce ne accorgiamo? E poi livore, odio, recriminazioni, ignoranza ingiustificata dopo decenni di educazione obbligatoria e invece paradossalmente sempre più diffusa e profonda. Ma soprattutto paura.
Paura è forse la parola chiave di Io sono la montagna (Epika Edizioni), il nuovo racconto lungo (o romanzo breve) di Michele Lupo, ben noto ai lettori di ALIBI Online per essere l’autore di attente e insieme godibili recensioni per la rubrica Biblioteca. Paura, con la sua declinazione parossistica in terrore, è il sentimento che più intensamente prova il protagonista, un autotrasportatore che scrive una lunga lettera a una donna, mescolando confessioni a sogni, speranze a incubi. La destinataria non è la moglie, ma una sorta di Beatrice di quest’epoca nemmeno più decadente: ormai del tutto decaduta.
Per lui Vera è àncora di salvataggio, ma anche vittima e valvola di sfogo, sentimentale e sessuale. La missione che la donna si è autoimposta (autoinflitta) è quella di rimetterlo in carreggiata, anche se (o proprio perché) capisce che il compito è improbo perché lui è appena uscito di galera e la cella di certo non gli ha fatto bene. Lui ha avuto tempo per leggere e riflettere e cos’ha compreso? Che la realtà è capovolta e la società italiana al collasso.
“Questo è il paese in cui vivo io, e in cui vivi tu. Come sta questo paese, dimmelo. Come sta in piedi. Ci sarà un motivo, no? La gente che incontri per strada uno si salva e nove sono imbecilli. Vuoi altro?”
Lui si sente una montagna, ma solidità e forza gli vengono erose da un passato che continua a pesare e da un presente ogni giorno più asfissiante e pericoloso. È costretto a rientrare nel giro del trasporto dei clandestini e un lungo viaggio in Germania si trasforma in una discesa agl’Inferi, in una seduta di autoanalisi senza sconti, per la moglie distante e paracula, per il figlio pieno di nei (ma da chi li avrà presi?!) e vuoto di idee, per il crudele Lupo che tutto vede e tutto muove, per Vera che ha problemi con il sesso, ma soprattutto nei confronti di se stesso.
E di Dio. Novello Giobbe, il protagonista porta Dio sul banco degli imputati e se riconosce le proprie debolezze (a cominciare dalla Duetto Osso di Seppia) e colpe, lo fa nella convinzione che quelle del Padreterno siano ben più gravi.
“Quando li beccavano e li rimandavano indietro, Vera, Dio mi sa che spariva. È solo un sospetto e non ti alterare per così poco. Dio non ce la fa a controllare tutto. Non l’aveva prevista così difficile, il Signore. È per questo che toppa il bersaglio a volte. Se quelli riuscivano a trasformare la paura fino al punto di stare quattro giorni senza mangiare, Dio avrebbe dovuto rispettarli, Vera. Dio si sopravvaluta. Fa errori da pivello”.
Occorre fede, lo sapeva Giobbe, per credere che neppure un passero cada senza la volontà del Signore. Ma ci si può accontentare di una seconda opportunità, anche se viene dal più diabolico degli elettrodomestici.
PS: sarebbe bello rileggere la storia con gli occhi degli altri personaggi (Vera, la moglie e il passeggero kurdo), in una sorta di Rashomon del traffico di clandestini… Che ne dici, Michele?
Saul Stucchi
Michele Lupo
Io sono la montagna
Epika Edizioni
12 €
www.epikaedizioni.it