Qualche settimana fa ho avuto l’occasione (la fortuna, è più corretto dire) di assistere a due spettacoli di Luca Radaelli, messi in scena in due serate consecutive in sedi non esattamente deputate a ospitare opere teatrali. Due spettacoli molto diversi, eppure non temo di sbagliare nell’accostarli perché li considero (anzi, sono) due ritratti della stessa realtà. Certo: realizzati con tecniche differenti e con risultati un poco diversi, eppure indubbiamente sono legati dal comune tema della sofferenza inflitta ai deboli senza alcuna giustificazione, un atto che più semplicemente (ma anche semplicisticamente) potremmo chiamare “violenza”. Al Bloom di Mezzago ho visto Radaelli nel monologo Una questione di vita e di morte. Veglia in onore di E.E., su testo scritto da lui stesso, con il contributo di Beppino Englaro. Sì, perché le due E del titolo nascondono con delicato pudore l’identità della figlia Eluana il cui nome è stato per anni nominato invano da politici, uomini di chiesa, medici ed “esperti” e propagato senza pietà dai media, tanto da venire a noia.
Radaelli ha esordito affermando che il monologo che stava per rappresentare non era uno “spettacolo politico”, perlomeno non nel senso – deleterio – che ormai siamo abituati a riconoscere alla parola, poi con forza ha difeso il ruolo del teatro come mezzo “sobrio” per sollecitare pudore e rispetto piuttosto che per inveire e mettere alla berlina. Ricordando il verso di un sonetto di Shakespeare – “Non nominare il mio povero nome” – ha allestito una veglia funebre in onore di Eluana, tutt’altro che triste, ma soprattutto sentita e sincera. Personalmente non so quanto il paragone tra Beppino Englaro e Antigone sia calzante (da tempo, del resto, rifletto sulla “necessità” – per quanto dolorosa – della posizione “politica” di Creonte contro quella “familiare e privata” di Antigone: ma non è questa la sede per aprire il dibattito…), tuttavia lo spettacolo ha il merito di elevarsi sopra la cronaca con levità e pudore, senza fingere di mantenere un impossibile distacco “super partes”.
Più robusta, scenicamente elaborata e riuscita è la rappresentazione della Colonna infame a cui ho assistito nel cortile di Casa Manzoni. Un salto indietro di quattro secoli consente di apprezzare le differenze con la nostra epoca, a cominciare dall’abolizione della tortura, ma solo per lasciare l’amaro in bocca nella constatazione che il meccanismo infernale di coercizione non è sostanzialmente mutato. Una cecità ottusa e sorda a qualunque richiamo alla ragione ha mandato al rogo poveri innocenti servendosi di un tribunale più stupido ancora che disumano. E questa insistenza a non volersi spostare di un millimetro da posizioni tutt’altro che pacifiche e liberamente accettate da tutti la riconosciamo identica ai giorni nostri: e non è un bel rivedere. All’Illuminismo e ai suoi realizzatori pratici sono stati addebitati molti errori e crimini, ma io resto di quelli che hanno scarsa (nulla) fiducia nelle capacità auto-riformatrici dei poteri costituiti. E se riconosco che non ha senso distinguere tra vittime di un terrore oscurantista e vittime di un terrore che si proclama portatore di libertà, pure mi rimane chiara ed evidente l’insostenibile incoerenza di quanti hanno perpetrato violenza in nome di chi è venuto per prendere su di sé il dolore degli uomini.
Il rigirio di domande in cui l’Inquisitore avvolge gli imputati “rasati e purgati” (il demonio sta nei particolari!), come un serpente stringe le vittime nelle sue spire sempre più strette, è angosciante e insieme terribilmente familiare. Lo riconosciamo come copione inflessibile degli interrogatori delle polizie di tutte le dittature (ricordate il film “Le vite degli altri”?) e l’intermezzo comico della parte della moglie del barbiere, con il sapiente e sapido ricorso al dialetto meneghino, non fa altro che sottolineare il tragico aspetto irreale della realtà. Le schitarrate elettriche, le distorsioni e addirittura l’utilizzo del trapano aggiungono note sinistre alla sinfonia della banalità del male. Gli imputati vengono abbassati al ruolo di pupazzi nelle mani dell’Inquisitore e la ruota delle delazioni trasforma il tribunale in una fiera di primavera. Sarebbe una farsa, se non fosse una tragedia.
Saul Stucchi
UNA QUESTIONE DI VITA E DI MORTE. Veglia per E. E.
di e con Luca Radaelli
con il contributo di Beppino Englaro
Giovedì 22 settembre 2011 ore 21.00
Bloom
via Curiel 39
Mezzago (MB)
LA COLONNA INFAME
Concerto teatrale Ba-Rock
dall’opera di Alessandro Manzoni
con Luigi Maniglia, Luca Radaelli e Valerio Maffioletti
Venerdì 23 settembre ore 21.00
Casa del Manzoni
Via Morone 1
Milano