Quattordicesima puntata del reportage di Laura Baldo sull’Iran. Prosegue il racconto della visita di Isfahan, iniziato nella puntata precedente.
Il giorno seguente la prima visita è l’antica Moschea del Venerdì, di epoca selgiuchide (XI-XII sec.), di cui pare rappresenti l’espressione architettonica più importante rimasta.
Dentro è molto particolare e interessante. Il luogo è grandissimo, composto di un cortile interno e quattro ingressi monumentali diversi che si aprono su di esso. Alcune aggiunte sono di epoche successive, quindi qui e là si nota la differenza negli stili: dalle piastrelle decorate, agli stucchi sulle volte, ai mattoni nudi disposti secondo complessi schemi geometrici.
Il cortile è pieno di enormi tappeti arrotolati, perché evidentemente qui si prega all’aperto. Dentro però c’è anche una sala invernale, molto suggestiva, col pavimento ricoperto di tappeti, le basse arcate bianche e la luce filtrata da lucernari di alabastro.
All’esterno, la Moschea si collega direttamente al Bazar. Accanto ci sono diversi negozi di chador, con file e file di manichini incappucciati di nero allineati lungo i portici. Fanno una certa impressione, e vedendoli di notte metterebbero davvero paura. Non sono neanche manichini interi, ma pali con fissate delle teste, piantati dentro dei vasi. A me i chador sembrano tutti identici, ma ognuno ha un cartello che ne illustra il modello e, visto che la scritta è anche in alfabeto occidentale, mi viene il dubbio che qualche turista li compri come souvenir. Da brividi.
La tappa successiva è nel movimentato quartiere di Jolfa, detto quartiere armeno, anche se ospita una grande varietà di minoranze cristiane e zoroastriane, oltre a quella armena.
Il Museo della musica
Per prima cosa visitiamo il Museo della musica, un luogo davvero magico. Ci sono centinaia di strumenti, divisi per epoca e provenienza. Alcuni sono familiari perché somigliano a qualcuno che conosco, altri sono totalmente nuovi, e molto interessanti.
Tra i più tipici ci sono il qanum, uno strumento piatto trapezoidale a corde, il taar, una sorta di chitarra a forma di 8, il kamāncheh, sorta di minuscolo violino dalla cassa rotonda, il barbat, molto simile a un mandolino, il setaar, strumento a corde piccolo dal manico lunghissimo — che compare spesso negli affreschi persiani antichi — il robab, sempre a corde, il tombak, un tamburo, numerosi tipi di flauti e di sonagli, e antichissimi strumenti simili a zampogne chiamati ney-anban. Ci sono anche strumenti vecchi di millenni, molti dalle forme davvero curiose.
Vediamo anche un laboratorio, dove una ragazza sta costruendo nuovi strumenti e ci illustra il procedimento. La spiegazione, tradotta da Alì, comprende tradizioni, materiali da costruzione e molto altro, ma è difficile assimilare tutto.
Finita la visita abbiamo un’altra bella sorpresa: il museo ha una saletta dove si tengono esibizioni di musica tradizionale. Siamo gli unici spettatori e abbiamo la sala tutta per noi. Sul palco salgono quattro musicisti, uomini e donne, ognuno con uno strumento diverso. Mentre suonano intonano alcune melodie, credo anch’esse tradizionali, con voci bellissime. Una pausa rilassante che ci voleva proprio, perché dopo un pranzo veloce ci attende un’altra visita impegnativa per interesse e fascino.
La Cattedrale di Vank
A due passi dal museo si trova la Cattedrale di Vank, o chiesa del San Salvatore, la principale chiesa armena. Risale al 1600, nell’epoca in cui, a causa di una guerra con l’Impero Ottomano, gli Armeni si vennero a trovare sul confine e alcune centinaia di migliaia furono deportati a forza in Iran.
Molti morirono lungo la strada, ma quelli che riuscirono ad arrivare a Isfahan fondarono una comunità ancora fiorente, che si raccoglie intorno alla magnifica cattedrale.
La sua architettura è unica, una commistione di tradizione cristiana e stile persiano dell’epoca; al campanile si affianca una cupola tipicamente islamica. Gli Armeni seguono un cristianesimo di tipo ortodosso e l’interno della chiesa è un’esplosione di dorature e di sontuosi dipinti. Ogni centimetro delle volte e delle pareti è finemente decorato. I soggetti dei dipinti sono quelli classici cristiani: la Creazione, varie storie del Vangelo, un bellissimo Giudizio universale.
Di fronte alla chiesa, dall’altro lato del cortile si trova un museo quasi altrettanto interessante, che raccoglie la storia degli Armeni-Iraniani, nonché foto e testimonianze del genocidio armeno avvenuto in Turchia a inizio Novecento.
Tra gli altri oggetti esposti nel museo ci sono paramenti sacri, bibbie miniate — alcune davvero molto antiche — quadri di Madonne o di eleganti principi ottocenteschi, manichini con abiti tradizionali, e ogni sorta di oggetto della vita religiosa o quotidiana. Tutto molto, molto affascinante, perché poco conosciuto e in una commistione di stili davvero particolare.
I ponti di pietra
Dopo essere tornati in hotel abbiamo qualche ora di libertà, e chi vuole può fare un altro giro al Bazar — non io, che passo volentieri. Verso il tramonto partiamo in pullman per andare a vedere un altro spettacolo di Isfahan che toglie il fiato: i ponti in pietra ad arcate sul fiume Zaiandè, entrambi di epoca safavide (metà del XVII sec.).
Il primo è il ponte Khaju, uno dei più belli in assoluto che mi sia mai capitato di vedere. È lunghissimo e molto ampio, ha due file di arcate e la strada che ci passa sopra è anch’essa fiancheggiata di arcate e nicchie, dove c’è moltissima gente seduta a chiacchierare, mangiare o ammirare il tramonto.
Il fiume è il più ampio dell’Iran e fa una certa impressione vederlo completamente asciutto. Fino a qualche anno fa si prosciugava solo di tanto in tanto, ma alla fine pare che l’uso esagerato della sua acqua abbia fatto sì che, già molto prima di arrivare a Isfahan, si prosciugasse in modo definitivo. Adesso il suo immenso letto è arido e crepato, sembra un paesaggio lunare. Stranamente, anziché togliere fascino al ponte, la visione quasi fiabesca di questa costruzione così sontuosa in mezzo a un fiume inesistente lo rende ancora più incredibile, dandogli un’aura irreale.
Dal momento che il terreno è liscio e uniforme, molta gente ci passeggia. Su una delle rive si vede una banchina con ormeggiati dei pedalò variopinti o a forma di animale. Mi rimarrà impressa come l’immagine simbolo della malinconia e dell’abbandono: un’allegra barca a forma di cigno arenata in un fiume che non esiste più.
Con il lento calare del buio, nelle nicchie del ponte si accendono luci dalla calda tonalità arancione, che, specie vedendolo da lontano, lo fanno sembrare ancora più magico. Dispiace un po’ non poter ammirare lo spettacolo delle sue luci riflettersi nell’acqua come facevano un tempo.
Poco più giù c’è un altro ponte, altrettanto bello, detto Ponte delle 33 arcate. Sopra non c’è molto da vedere, ma anche qui è luogo di passeggio serale, e con le luci nelle arcate tutte accese è davvero splendido.
Lasciamo il fiume per tornare nel quartiere armeno, dove ceniamo in un ristorante grazioso ma turistico. Il menù è più o meno sempre lo stesso.
Ad ogni modo Isfahan mi ha fatto cambiare radicalmente la prima impressione avuta, e ne sono stata conquistata. Non ha niente da invidiare alle più belle città d’arte italiane. Domattina purtroppo la lasceremo per l’ultima tappa del viaggio, che ci riporterà a Teheran, con una sosta a metà strada nella città di Kashan, dove si trovano molte case storiche e uno dei giardini persiani più belli in assoluto.
Laura Baldo
Quattordicesima puntata – segue.
Di Laura Baldo è appena uscito da Alcheringa Edizioni il romanzo giallo “La salvatrice di libri orfani”.
Didascalie:
- Moschea del Venerdì: uno dei quattro portali sul cortile interno
- Le splendide decorazioni di pareti e soffitti
- Negozio di chador
- Museo della musica: al centro due qanum; dietro, in piedi da sinistra: un barbat, un setaar, un kamāncheh, un taar e un tombak
- Cattedrale di Vank, cortile interno
- Particolare della cupola e delle volte decorate
- Il ponte Khaju
- Interno delle sue arcate
- Il ponte delle 33 arcate