Al Circolo Castellazzo di Marore (PR), sono esposte 50 immagini del fotoreporter Alessandro Gandolfi.
Dal 2 febbraio si possono ammirare, presso il Circolo Castellazzo di Marore (Parma), le immagini che Alessandro Gandolfi ha selezionato per la sua mostra Non è vero, il viaggio non finisce mai. Raccoglie cinquanta fotografie scattate in tutto il mondo dal fotoreporter parmigiano: surfisti in El Salvador, pastori della Basilicata, monaci dello Sri Lanka e pescatori Indonesiani. Ma anche corse di cani in Québec, momenti di preghiera in Eritrea, nomadi in Kirghizistan e giovani turisti iraniani.
Il titolo dell’esposizione è una citazione tratta da Viaggio in Portogallo di José Saramago (edito in Italia da Einaudi): “non è vero, il viaggio non finisce mai […] bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva…”.
Parole pienamente condivise da Gandolfi, che nonostante non abbia ancora spento le quaranta candeline, può vantare una carriera invidiabile: fotografo e giornalista freelance, collabora infatti da anni con le più importanti riviste italiane di viaggio, oltre ad essere fondatore e co-titolare dell’agenzia Parallelozero, dedicata esclusivamente ai reportage di viaggio.
L’ingresso alla mostra è libero, mentre va segnalata la possibilità di acquistare le fotografie esposte.
Non è vero, il viaggio non finisce mai
Dal 2 al 28 febbraio 2008
Circolo Castellazzo
via Bassa Antica 12
Marore (Parma)
Orario: tutti i giorni dalle 10 alle 20
Ingresso libero
Info: tel. 0521 641186
In occasione della mostra a Marore, ALIBI ha intervistato Alessandro Gandolfi:
Quando e perché hai deciso di dedicarti esclusivamente alla carriera di fotoreporter?
Ho deciso nel dicembre del 2000, quando lasciai il giornalismo dei quotidiani (ero agli Esteri di Repubblica, a Roma, in quel momento, ma nei due anni precedenti avevo lavorato come cronista a Repubblica a Milano). A dicembre andai in Mali a fotografare la stagionale attraversata delle mandrie sul Niger e poi seguii il corso del Niger proseguendo poi lungo i deserti settentrionali. Perché ho preso questa decisione? Perché mi sembrava un tipo di lavoro divertente, interessante, non noioso; un lavoro che mi avrebbe inoltre permesso di approfondire la fotografia di reportage e di viaggio.
Qual è stato il tuo viaggio più bello?
Il viaggio che feci in Cile attraversando l’intero paese, dal secco deserto di Atacama al nord ai ghiacci della Patagonia cilena.
Il tuo obiettivo si concentra maggiormente sui luoghi o sulle persone che incontri?
Dipende dai servizi che devo realizzare e per quale rivista. Amo molto mescolarmi alle persone e fotografarle nei loro atteggiamenti spontanei, siano essi una danza durante una festa, un matrimonio, una preghiera collettiva o semplicemente un normale momento della giornata.
La tua carriera di free-lance ti ha condotto in posti pericolosi?
Quasi mai. non sono un fotoreporter di guerra e visito luoghi dove non ci sono conflitti o particolari tensioni. Detto questo, il pericolo si può nascondere ovunque, soprattutto per chi – in paesi del terzo mondo – se ne va in giro con due o tre macchine fotografiche addosso. Bisogna sempre tenere gli occhi aperti, anche in un mercato del Malawi o durante una festa religiosa eritrea.
Qual è la tua prossima meta?
Imminente è la Tunisia. Ho poi tutta una serie di viaggi in programma nei prossimi mesi che mi porteranno negli Stati Uniti, in Turchia, in Irlanda, in Mongolia.
Che consigli ti senti di dare agli aspiranti fotoreporter? e agli appassionati di viaggi?
Per un fotoreporter di viaggio il consiglio è viaggiare il più possibile (viaggiare anche in Italia, non solo nei paesi “esotici”) e scattare molte foto, possibilmente avendo in mente una storia da raccontare. Selezionare le migliori immagini e mostrarle ai giornali, non demoralizzandosi se si riceve qualche porta in faccia. Agli appassionati di viaggi in generale? Suggerisco (per chi non lo fa già) di cercare di parlare di più con la gente del posto e di farsi raccontare le loro storie.