Città infinita, Roma. A ogni visita regala nuove scoperte e sorprese. Non ero mai stato al Cimitero Acattolico, ma questa volta – di ritorno dalla Centrale Montemartini dove ho visitato la mostra “Egizi Etruschi. Da Eugene Berman allo Scarabeo dorato” – il fascino della Piramide Cestia ha esercitato su di me un’attrazione più intensa a cui non ho potuto (voluto) resistere e girandole intorno con il naso all’insù, sotto nuvole cariche di pioggia, mi sono ritrovato all’entrata e ho deciso di colmare una lacuna durata troppo a lungo.
Dire che il cimitero sia un luogo tranquillo è una banalità, peraltro vera fino a un certo punto: il traffico cittadino si sente anche qui, anche se i rumori arrivano un poco attutiti. Ho girato per i vialetti soffermandomi a caso davanti ai monumenti che in qualche modo attiravano la mia attenzione, come quello del pittore svizzero Johann Jakob Frej (nato a Basilea nel 1813 e morto a Frascati nel 1865) che nel 1842 accompagnò il celebre archeologo Karl Lepsius in Egitto e quello di Mathilde von Humboldt-Dachroeden, accomunati dall’iconografia egittizzante.
Ho vagato dalla tomba di Yeats a quella di Gramsci, ai due estremi opposti del cimitero, e sono entrato nella Garden Room. Qui ho visitato la piccola mostra di Ennio Tamburi (Jesi, 1936) intitolata “Continuum” che rimarrà aperta fino al prossimo 30 giugno. È curata da Luca Arnaudo che scrive nel breve catalogo:
L’arte, dal canto suo, partecipa a tale impresa (lo studio del tempo e dell’acqua, ndr.) offrendo una visione in grado di aprire la dimensione parziale del soggetto a un’intuizione di assoluto; si vive allora – osservatori o artefici, la posizione poco importa – di un’epifania improvvisa, quando la percezione limitata del momento si espande in un punto d’infinito. Poi ci si ferma, si riprende costretti in qualche direzione, ma un tralucere d’illuminazione rimane pur sempre al fondo dell’esperienza.
Le opere di Tamburi qui esposte – opere su carta, realizzate appositamente per questo spazio – mi sono apparse proprio come un’epifania improvvisa: i suoi “segmenti” colorati appesi alle bianche pareti della sala espositiva hanno vibrato come piccole scariche elettriche a innescare connessioni mentali in un fluire – appunto – continuo.
E poi le pagine scritte a mano dall’artista, riprodotte nel libretto, pubblicato da Andante (stampato in 100 copie numerate e firmate dall’artista)… è stato il riferimento all’obelisco egizio, scovato aprendo a caso il catalogo, a farmi decidere di acquistarlo al Centro Visitatori:
1960. L’obelisco egizio davanti al mio studio – un luogo, come seguendo un segreto istinto, molti lavori su carta, tanti, troppi, un bisogno di dare un senso all’energia che hai dentro – astrazione, informale, emozioni, sentimenti espressi, inespressi, desideri, grandi cartelloni, per comunicare qualcosa a qualcuno, poi di corsa a rifugiarsi lì, davanti all’obelisco, la sera – Chiudersi dentro.
Delizioso l’haiku di Matsuo Basho scelto a sigillo delle sue pagine:
Ah! L’antico stagno
si tuffa una rana
rumore d’acqua.
È vero: c’è ancora tanto da fare e da vedere. A Roma, per esempio.
Saul Stucchi
Dal 17 maggio al 30 giugno 2018
Continuum
Una mostra di Ennio Tamburi
A cura di Luca Arnaudo
Garden Room
Cimitero Acattolico di Roma
via Caio Cestio 6
Informazioni: