“Siamo tutti colpevoli, nessuno di noi è salvo veramente”. La citazione in quarta di copertina mette già sull’avviso il lettore: lo spirito che dà corpo a “Conforme alla gloria” di Demetrio Paolin (edito da Voland) si preannuncia come un giudice implacabile per le colpe di tutti e di ciascuno. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate, verrebbe da dire. E sarebbe a tema, visto che il lettore s’inoltrerà, anzi s’inabisserà, in un inferno via via sempre più angosciante…
In corsa per lo Strega
Dopo aver letto le prime pagine mi è venuto di pensare che il Novecento, invece di essere stato il “secolo breve”, si sta dimostrando dannatamente lungo. Con i suoi tentacoli ha afferrato e non pare intenzionato a mollare il secolo XXI.
E subito dopo ho riflettuto sul valore e sul significato mitopoietico della Shoah. Attenzione! Non sto dando un giudizio di nessun tipo: né etico, né storico. È solo una considerazione sulla lunga durata degli effetti dello sterminio degli Ebrei (ma non solo, va sempre ricordato) nei campi di concentramento. Effetti, mi pare, visibili soprattutto se non solo in letteratura, altrimenti non saremmo praticamente punto e a capo con le sparate e, quel che è peggio, con le decisioni dettate dal più becero populismo. Anno del Signore 2016.
La Shoah, dunque, come la saga tebana, una fonte inesauribile di storie? Forse regge l’accostamento: abbastanza lontana, ma ancora piuttosto vicina; non ci riguarda direttamente, ma parla di noi, proprio come le vicende di Edipo e famiglia per i cittadini ateniesi del V secolo.
Selezionato tra i dodici titoli che si contenderanno la settantesima edizione del Premio Strega, “Conforme alla gloria” racconta la presa di coscienza con conseguente dannazione del figlio di una ex SS. Il padre, che è stato un caporione a Mauthausen, morendo, gli lascia in eredità un dono maledetto, un quadro davvero particolare intitolato “La gloria”.
Dono maledetto
Il quadro è un tumore che si ripresenta, un’ombra maledetta che si allunga sui discendenti, un maleficio, è un parassita che ha deposto uova. Ma per Rudolf soprattutto un richiamo irresistibile. Timeo parentes et dona ferentes, altro che Danaos, dovrebbe insospettirsi l’uomo. E invece, proprio come Edipo, si mette in cerca di una verità che finirà col perderlo.
“È come se avessi bevuto del veleno”, confessa alla moglie, “ma non muoio”. E siamo solo a pagina 74. Per altre trecento si srotolerà il tema della colpa che tutti contagia, perché “padri e figli sono la stessa cosa” e dunque i secondi portano il segno dell’infamia che ha marcato i primi. Il male è un virus che si propaga e infetta. Rudolf si isola e perde il contatto con la moglie e col figlio. Soprattutto quest’ultimo vorrebbe troncare i rapporti col passato, ma anche su di lui si allungherà l’ombra malefica del nazismo.
Sulla pelle di Enea
Paolin intinge la sua penna in un inchiostro urticante e senza mai arretrare o dare segni di esitazione, procede nella sua indagine letteraria sul cuore di tenebra, tra richiami alla Scrittura e riferimenti scespiriani (“se mi taglio sanguino come tutti”, pag. 186), tra luoghi altamente evocativi come la Risiera di San Sabba e il Cimitero Militare Germanico alla Futa e critiche all’imperialismo commerciale tedesco. Distingue tra vittima e sopravvissuto, fa dire che testimoniare è fare male, lega il passato al presente con un cappio che indigna prima ancora di soffocare.
Il secondo protagonista, infatti, è Enea, un sopravvissuto a Mauthausen. Il campo di sterminio è un verme, inglobato nella sua carne. Come l’eroe troiano, scampa al crollo del suo mondo portandosi però dietro la distruzione. Vive e lavora a Torino come tatuatore. La pelle, che costituisce il 18% del corpo, riveste (è il caso, macabro, di dire) un ruolo fondamentale nel romanzo.
Enea ci lavora con la pelle e negli anni della vecchiaia arriva a diventarne un vero e proprio artista. È così che lo rintraccia Rudolf. E le loro storie si incrociano. Ma c’è spazio anche per la storia recente di Torino, con i suoi fuochi e le sue tragedie.
E proprio quelle dedicate al rogo della ThyssenKrupp e alla vicenda personale del sopravvissuto Antonio Boccuzzi sono le pagine più urticanti. Citiamo solo l’ossimoro agghiacciante “vive la sua morte”.
Il corpo è raccontato nel suo disfacimento e nella sua esaltazione, nella negazione e nell’annullamento, mentre l’anima è appesantita dal peccato e dalla colpa. L’identità è messa in dubbio e colpa e felicità non sono concetti lineari. Non soltanto per i figli dei nazisti.
Saul Stucchi
- Demetrio Paolin
- Conforme alla gloria
- Voland
- 2016, 393 pagine, 18 €