A distanza di un anno, sul finire di quest’estate del “nostro scontento” che pare arrivata soltanto ora (forse attardata essa stessa dalla crisi globale), sono tornato al Passo della Futa per assistere alla rappresentazione della seconda parte della trilogia che Eschilo dedicò agli Atridi. Come già per l’Agamennone, è stato il Cimitero Militare Germanico a fare da scenografia alle Coefore messe in scena dalla compagnia Archivio Zeta per la regia di Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni che si sono riservati i ruoli dei protagonisti: Oreste e Clitemnestra. Certo, questa volta per me l’effetto sorpresa non si è potuto ripetere: ancora fresca era l’emozione provata l’agosto scorso quando per la prima volta avevo respirato l’atmosfera che rende unico questo luogo di memoria. Ma l’esperimento è riuscito ancora, perfettamente, come alla fine hanno testimoniato i calorosi applausi del folto pubblico.
Prima della recita Enrica Sangiovanni ha voluto sottolineare l’importanza della nuova traduzione utilizzata per lo spettacolo perché condotta con particolare accuratezza, al contrario di alcune di quelle ancora circolanti, piuttosto imprecise. Ha poi raccomandato agli spettatori di usare occhi e orecchie al posto di cellulari e fotocamere, invitandoli a partecipare a quello che stava per cominciare, ovvero un rito culturale e, citando Hannah Arendt, ha parlato di teatro politico come gesto consapevole di cittadinanza e parola responsabile.
Bardato come Totò all’arrivo a Milano (l’anno scorso un vento freddissimo aveva reso eroica la recitazione degli attori, così come stoica la resistenza di noi spettatori), ho visto la fila davanti a me salire per il pendio della collina e osservando le lapidi dei soldati tedeschi (non pochi caduti nell’aprile del ’45 a un amen dalla conclusione della guerra…) mi tornavano alla mente le parole di Glauco a Diomede nel sesto libro dell’Iliade: “la stirpe degli uomini è come quella delle foglie…”.
Il primo particolare che ho annotato è che in queste Coefore l’accompagnamento musicale ha un ruolo molto importante, perché interviene a sottolineare i passaggi più drammatici, i nodi e gli snodi cruciali, con il vento che si porta via le note per le valli attorno. Appena rientrato in patria Oreste si nasconde dalle portatrici di libagioni (questo il significato del termine “coefore”) ponendosi sotto il carro che simboleggia la tomba di Agamennone e in questo modo rende intelligibile la scelta dei registi di fare di lui un secondo e nuovo Agamennone, tornato ad Argo per sedere legittimamente sul trono che era appartenuto al genitore. Quando finalmente Elettra lo riconosce, commossa gli sussurra: “Padre, non posso che chiamarti col nome di padre. E madre. E sorella Ifigenia. E infine fratello, il solo che mi rimane”. Oreste è tutta la famiglia che le resta, pur se la madre è ancora in vita. E per ucciderla insieme all’amante Egisto, i due fratelli le tendono intorno una rete, una ragnatela di morte: e qui ricompare l’espediente scenico della matassa di filo rosso, utilizzato nell’Agamennone.
Clitemnestra non riconosce il figlio quando lo rivede, tanto che “straniero” è la parola con cui lo accoglie. Eppure sembra sincera quando esclama “siamo alla più alta montagna della rovina!” alla falsa notizia della sua morte. Ma è la nutrice a fare le veci emotive della madre, mentre la corifea canticchia una cantilena insieme enigmatica e rivelatrice: “sono i morti che uccidono i vivi, sono i morti che uccidono i vivi!”. Oreste significativamente compie il matricidio stringendo in un abbraccio mortale l’indomita e per nulla pentita Clitemnestra. E alla fine non gli rimane altro che fuggire da quel sangue versato, lo stesso che scorre anche dentro di lui, inseguito dalle Erinni. Ma la tragedia si chiude con una domanda: “dove finirà e sarà placata la violenza cieca?”.
PS: il giorno stesso in cui ho assistito alla rappresentazione, ovvero il 13 agosto, Il Corriere della Sera ha pubblicato un lungo articolo (l’intera pagina 24) della professoressa Eva Cantarella dedicato alla figura di Clitemnestra, che da “mostro” diventerebbe “simbolo di speranza in un mondo migliore”. Chiederemo ai due registi la loro opinione in proposito…
Saul Stucchi
PROGETTO LINEA GOTICA/ORESTEA
COEFORE
di Eschilo
Regia di Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni
Partitura sonora di Patrizio Barontini
Dal 30 luglio al 14 agosto 2011 ore 18.00
Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa (FI)
Il 20 agosto alle ore 19.30 la compagnia reciterà l’Edipo Re di Sofocle al Teatro Greco di Segesta (TP)