In molti dicono che dovrei abituarmi a questa mia nuova condizione di emigrata a Milano. Così dopo mesi in cui continuavo a comportarmi come Totò e Peppino in quel di piazza Duomo, ho deciso di adeguarmi alla vita lombarda fatta di happy hour, sushi bar, disco, cassŏla e polenta. Ma sembra sia giunta l’estate anche in Padania e i miei nuovi amici si prenotano a frotte per volare nella capitale del Meridione: casa mia.
Così un venerdì sera eccomi pronta a tornare a casa con un paio di colleghi meneghini per trascorrere un week end all’insegna della pura vita campana. Giungo alla stazione di piazza Garibaldi alle 8.00 del mattino dopo un interminabile e straziante
viaggio in Intercity in cui condividiamo odori, sonno e chiacchiere con altri emigrati come me: un paio di amici precedentemente allertati, ci attendono con la macchina in moto e i costumi indossati ed ecco che si corre verso Sorrento, prima tappa stabilita all’unanimità. La strada è lunga da Napoli alla Costiera Amalfitana, la Napoli – Pompei che poi si immette nella tristemente nota Salerno – Reggio Calabria (quest’ultima riserva spesso sorprese non troppo piacevoli e devo ammettere che alla storia dello “stiamo lavorando per voi” ormai non crede più nessuno!). Comunque il sole è alto e caldo, il sudore cola, la musica va e le chiacchiere pure. I miei milanesi sono a proprio agio anche quando cominciamo a discutere di Calciopoli e alle 10.30 siamo allo Scrajo di Vico Equense: ora dobbiamo solo cercare uno scoglio comodo e abbastanza grande per tutti dove stendere i teli da mare e abbrustolirci al sole. Le giornate al mare sono come la città che mi ha visto crescere: lente, ma ad alto volume. La gente urla, i ragazzi giocano vivaci – anche troppo direi – i venditori ambulanti fanno veri e propri comizi con le loro bancarelle da viaggio e i bagnanti si scannano tra loro per chi ha infastidito chi…tutto è come lo ricordavo, Napoli non cambia, nel bene e nel male.
Alle 18.00, stanchi morti, accecati dal sole, ma rigenerati dall’acqua limpida e gelata di Sorrento, siamo di nuovo in auto alla volta di Napoli. I miei amici milanesi hanno un solo imprescindibile desiderio: mangiare la pizza, quella vera, quella con la mozzarella di bufala, quella con le tre c; e quindi dopo una doccia veloce, 4 kg di doposole e un saluto di rito ai miei genitori eccoci davanti a quella che io ritengo la migliore pizzeria di Napoli: Di Matteo. La
pizzeria Di Matteo si trova nel decumano maggiore della città, in via dei tribunali 94, vicino alle sedi centrali delle maggiori università partenopee: la Federico II e l’Orientale, alle spalle di Via Mezzocannone, dove ho trascorso gli ultimi anni tra corsi in facoltà, gincane tra le bancarelle e sfogliatelle di Scaturchio. Il locale è rustico, su due livelli e la fila sia a pranzo sia a cena sembra eterna. Fortunatamente abbiamo prenotato, ma il tavolo non sarà pronto prima di 20 minuti – ovviamente il titolare ha detto 5 minuti, ma a Napoli si sa, il tempo si calcola in maniera diversa dal resto del mondo: si dilata e si restringe senza sosta – giusto il tempo di dare un’occhiata in giro. I muri bianchi sono ricoperti da foto che ripercorrono i momenti fondamentali della storia di Di Matteo: stralci di giornali che riportano le vittorie dei due scudetti conquistati da un Napoli indimenticato guidato da Maradona – santo patrono della città che ha scalzato in 7 anni tutti i miracoli sudati da san Gennaro – e la foto di Clinton che, in occasione del G7 volle a tutti i costi assaggiare la pizza a portafoglio proprio lì. Per chi non lo sapesse la pizza a portafoglio è una pizza Margherita più piccola di quelle normali piegata in 4 parti e servita in un foglio di cartone in barba a tutte le norme delle A.S.L. sull’igiene; per farla breve in 30 secondi ci si sporca e unge in tutti i punti possibili del proprio corpo, ci si scotta la lingua che resterà insensibile per una settimana, ma si prova una sensazione di goduria e libertà, oltre che un sapore che difficilmente si potrà gustare di nuovo.
Finalmente giunge il nostro turno: il tavolaccio è pronto per noi. Il servizio è rapido e rustico come il locale, la specialità di Di Matteo, oltre ovviamente ad una Margherita tra le migliori della città, è la pizza fritta ripiena di ricotta e cicoli – il grasso del maiale – un mattone che si piazza sullo stomaco per una settimana, aumenta il peso del commensale di 5 kg almeno, ma riconcilia il palato col mondo.
Restiamo in pizzeria un’oretta a conversare ed a gustare le prelibatezze di una cucina
ancestrale in compagnia delle chiacchiere dei camerieri e del cassiere che, non appena scoprono l’origine meneghina dei miei amici, si dilungano nei ricordi delle partite di calcio Napoli – Milan, un tempo eventi storici per la città che si colorava di azzurro per giorni ed era affollata dai carri funebri che portavano in processione le bare dei giocatori e della società ambrosiana tutta…. e poi i soliti discorsi sulla politica che cambia per non cambiare, su una Napoli che muore ogni giorno sotto gli occhi indifferenti della sua gente che si affanna a dare la colpa agli altri, di chi come me è fuggito per non assistere ad un tracollo che sembra sempre più prossimo, di chi da lontano non riesce a capire la sua realtà e la sua gente, e di chi da vicino non capisce né se stesso né il mondo che si evolve lasciandoci indietro per nostra colpa o per colpa di altri…ma che importa? Anche per questo mio ritorno, alle pendici del Vesuvio, sulla strada che porta alla Costiera Amalfitana, nei vicoli del centro dove ora mangio una pizza, il solito nodo alla gola, le solite emozioni contrastanti, il solito odio amore che attanaglia ogni napoletano…anche stasera, nell’allegria di essere con le persone giuste, di aver bevuto una birra di troppo, di aver passato una giornata come non facevo da tempo, sono impotente, basita da uno dei più bei paesaggi del mondo, disperata per l’autocommiserazione che avvolge tutto, che si respira nell’aria malsana di una città decadente e al contempo imponente che trova forza di rigenerarsi soltanto nelle proprie contraddizioni…
Ma il tempo è tiranno, la fila fuori aumenta a vista d’occhio e giunge il momento di salutare e andar via. Il conto rispecchia la buona tradizione culinaria partenopea: ottimo rapporto qualità prezzo! (una margherita, una coca e un antipasto misto di zeppole panzerotti e arancini – un pezzo a testa – 12 €).
La domenica la sveglia suona presto: anche oggi una corsa al mare è d’obbligo. Per quest’ultima giornata si resta a Napoli e si va a Pozzuoli al mare un po’ più inflazionato di Capo Miseno dove ci aspetta anche un pranzo fugace, in uno dei tanti bar, a base di mozzarella di bufala e pomodori. Purtroppo la nostra domenica corre più veloce di noi: alle 16.30 abbiamo il treno che ci riporterà a Milano dove arriviamo accaldati e stravolti alle 23.00.
Ed eccoci di nuovo nella capitale economica del Paese, tra gente che corre e non si sa dove va, tra happy hour e giornate al lago, tra gli impegni di lavoro e un paio d’ore in piscina. Lunedì a pranzo mangerò un’insalatona, in puro stile milanese. Ma a pensarci bene…il mio stomaco reclama una pizza!
Silvia Greco